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Psico-oncologia: pensieri e “cattivo sangue”

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Chiara Sicari - 01/01/2016

Tratto da Scienza e Conoscenza n. 27.

Parlare di cancro è sempre un argomento difficile da trattare, dal momento che ogni volta crea aspettative che non sempre possono essere soddisfatte, e può ancora peggio, creare delle false speranze.
Per tutti questi motivi mi limiterò a fare delle considerazioni che derivano da anni di lavoro ed osservazioni su questo argomento.
Nel corso degli anni mi sono dedicata alla ricerca di qualcosa che potesse dare un significato a ciò che osservavo nel mio ambulatorio, cercando di capire perché l’evoluzione della malattia, sebbene di origine cellulare simile, evolvesse diversamente, anche se trattata con gli stessi metodi. La riflessione mi ha portato a considerare l’unica variante che riuscivo ad individuare, rappresentata dal soggetto che avevo davanti.
Da questa considerazione ho cominciato a fare una statistica sempre più capillare indagando sulle abitudini di vita, sul vissuto, mettendo sempre più in luce un aspetto importante che condizionava l’evoluzione, oltre la patogenesi della malattia: le esperienze vissute dai pazienti. In questi anni la psico-oncologia sta studiando, mettendo in risalto con sempre più importanza la relazione dello stato mentale con il manifestarsi e lo sviluppo della malattia. Per questo gli studi si sono concentrati nella ricerca delle prove delle modificazioni biologiche, in senso cancerogenetico, indotte da stati mentali.
Ronald Glaser, dell'Università dell'Ohio, per esempio, ha analizzato un certo numero di pazienti psichiatrici dividendoli in due gruppi a seconda del grado di depressione (maggiore o minore). I linfociti prelevati dai due gruppi sono stati danneggiati con radiazioni. In seguito, è stata misurata la capacità di riparazione del danno ai linfociti, che è risultata maggiore nel gruppo con depressione minore, e viceversa.
Analisi più complesse sono state realizzate, negli anni Ottanta, da L. Temoshok che, in gruppi di persone sofferenti di cancro, ha trovato minori ostacoli alla diffusione del tumore (minore presenza di linfociti nei tumori, minore resistenza dei tessuti alla limitazione della diffusione, maggiore indice di divisione cellulare) in quelle persone maggiormente represse dal punto di vista emozionale.
L. Temoshok, da questi studi, arrivò a formulare la teoria della personalità di tipo C (cancer risk personality) e cioè di quell'insieme di tratti individuali che espongono maggiormente al rischio di cancro.
P. Pancheri [trattato di medicina psicosomatica – Uses edizioni 1984] e la sua scuola hanno da tempo ipotizzato che l'inibizione emozionale, producendo una risposta non efficiente allo stress -nel senso che il soggetto in questione non è in grado di attivare e disattivare rapidamente la reazione di stress, mantenendosi invece in uno stato di iperattivazione cronica di grado moderato - sopprime o altera la risposta immunitaria lasciando così campo libero alla cancerogenesi.
Questa teoria ha trovato, nel corso degli anni, vari riscontri sperimentali anche in studi sugli animali.
Si è visto infatti che animali da laboratorio sottoposti a stress cronico e/o comunque non evitabile, a inibizione dell'azione, si ammalano di cancro più facilmente di altri.

Storia personale e tumore
L'esistenza di un nesso tra storia personale e malattia tumorale era nota già alla scuola ippocratica. Galeno faceva notare che le donne malinconiche sviluppavano un carcinoma mammario molto più spesso delle donne sanguigne. Studi giapponesi recenti sugli effetti della privazione materna hanno mostrato che la perdita precoce della madre installa, nei topolini, una risposta inefficiente allo stress che si protrae per tutta la vita e da luogo a pesanti disordini di tipo immunitario.
L'esistenza dello stesso nesso tra storia del paziente e malattia tumorale era contemplata anche alla scuola rinascimentale, e poi con l'illuminismo tali nozioni andarono perdute, causa la sempre più netta dicotomia tra corpo e psiche. Solo negli anni 60 si cominciarono a studiare estesamente gli aspetti mentali ed emozionali delle malattie tumorali.
Cominciò ad affermarsi la nozione che spesso al principio di una malattia tumorale c'e' un dispiacere non superato: ai malati di tumore mancherebbe spesso la capacità di affrontare e superare i problemi e di elaborare gli eventi dolorosi della vita (carenza di strategie di superamento - coping strategies). L'io rappresenta l'elemento di congiunzione e l'intermediario tra la sfera somatica e quella psichica. Il rapportarsi dell'io agli oggetti somatici e psichici è intercambiabile. Gli aspetti stutturali ed emozionali raccolti dal mondo possono, come contaminanti, condurre ad alterazioni somato-patologiche.
Nelle prime fasi postnatali (i primi sette anni) gli investimenti oggettuali sono ancorati quasi esclusivamente nel proprio corpo e nella madre (narcisismo primario) e sono associati a forme patologiche specifiche (malattie infantili; tumori: neuroblastomi, retinoblasomi, tumori di Wilms). Nelle fasi di sviluppo successive s’investe sempre più energia su oggetti di riferimento esterni: altre persone, oggetti, scopi. Nel ciclo biologico ci sono tuttavia certe costanti nell'estensione e nella revoca di tali "investimenti" (matrimonio, carriera, morte del partner ecc...).
La maggior parte delle fobie e angosce, e le resistenze ai fattori di stress, si acquisiscono durante l'infanzia. Un ruolo importante riveste la fiducia, dai primissimi anni, nella costanza oggettuale della madre (o di un sostituto materno) e dei genitori. Da questo dipende poi come l'adulto elaborerà le perdite oggettuali: se sarà abbastanza elastico e riuscirà a sostituire facilmente una persona di riferimento oppure no.
L'esperienza insegna che le persone fiduciose e capaci di stabilire legami emozionali possono sopportare le perdite oggettuali molto meglio di quelle che a causa di esperienze negative precoci hanno sviluppato una sfiducia nei confronti delle altre persone. In caso di perdita oggettuale e nelle situazioni di pericolo, l'uomo, come qualsiasi altro organismo, cerca di sottrarsi alla situazione pericolosa regredendo su una posizione difensiva.
L'io che media tra esperienza psichica e soma può interiorizzare gli eventi distribuendoli in modo sbilanciato.
L'intensità del trauma emotivo determinerà la gravità della malattia, mentre il tipo di emozione determinerà la localizzazione nel corpo.
Quindi la malattia è un simultaneo squilibrio a livello psichico, cerebrale e fisico dovuto ad un trauma emotivo.
Senza conflitto non vi è malattia, rendersene conto è il primo passo verso la guarigione!

Sangue e pH
Premesso tutto questo rimane un altro aspetto importante da valutare: come può un trauma tradursi in cancro?
Gli studi hanno dimostrato come lo stato depressivo può trasformarsi in malattia determinando un’alterazione del sistema immunitario, oltre alla modificazione dei complessi meccanismi che regolano tutti i processi metabolici.  
Nel plasma dei soggetti cancerosi si notano alterazioni di ordine fisico-chimico con compromissione dell’equilibrio ionico-salino ed aumento del pH. Il sangue dei cancerosi è spiccatamente alcalino (pH 7,8) e solamente in ambiente così alcalino è possibile lo sviluppo della flora batterica che potrebbe essere una delle concause che determina lo sviluppo del cancro. “Un esame microscopico di una goccia di sangue di chi è malato o presunto tale e sottoposto a una speciale trattamento, consente di stabilire anche in fase precoce la presenza della malattia “. Questa citazione è tratta dall’intervista della Dott.ssa Fonti, la quale da studi da lei portati avanti per anni sosteneva la possibilità di poter fare diagnosi precoce di tumore studiando a fondo la morfologia degli eritrociti. Le emazie dei soggetti affetti da cancro lasciano rilevare nel loro interno delle minuscole masse polimorfe, talvolta isolate, talvolta a gruppo, più o meno frequenti in ogni campo di osservazione.
Dal momento che la patogenesi del cancro è complessa e multifattoriale è quindi auspicabile la collaborazione tra le diverse discipline, che da sole non riescono a portare ad una soluzione, ma utilizzando un linguaggio comune possono dare risposte alle numerose domande ancora irrisolte.

Scritto da
Chiara Sicari

Laurea in medicina e chirurgia, Specialista in Medicina Generale, medico di base si occupa di oncologia da 10 anni, in particolare del metodo "Di Bella". Ricercatrice di nuovi metodi che riescano ad affrontare la patologia cercando di individuare le cause che hanno determinato la malattia, personalizzando la terapia.

Chi è chi
La prova più interessante del “pensiero-come-malattia” viene dal lavoro di un team composto da moglie e marito, la psichiatra Jan Kiecolt-Glaser e il professore di virologia all’Ohio State University Ronald Glaser. Per approfondire, un articolo apparso sul nostro sito.
Lydia R. Temoshok, dell'Istituto di virologia umana dell'Università del Maryland, ha identificato in modo specifico una tipologia di pazienti, che ha classificato come "C". Se il tipo "A" è arrabbiato e può andare incontro a problemi cardiaci a causa della propria ira e il tipo "B", invece, riesce ad avere uno stato di salute migliore degli altri perché affronta la malattia nel modo giusto, il tipo "C" nega i problemi e sopprime i propri reali sentimenti: proprio quest'ultima categoria va incontro ad una maggiore possibilità di sviluppare l'Aids e il melanoma per lo stress eccessivo in cui vive e a cui sottopone il proprio sistema immunitario.
Paolo Pancheri è uno dei più autorevoli psichiatri italiani. 
Ordinario di Psichiatria all’Università La Sapienza di Roma. 
Autore di numerose pubblicazioni scientifiche e volumi 
su argomenti di Psicologia Clinica, Psicopatologia, Psicofarmacologia, 
Psiconeuroendocrinologia
La dott.ssa Clara Jolles Fonti conseguì la laurea in medicina e chirurgia nel 1928 presso l'università di Padova. A Vienna studiò oncologia. Allieva interna nella Clinica Chirurgica con il Prof. Baldo Rossi, nella Clinica Medica con  il Prof Zoja, Greppi e Segre. Incline alla ricerca, convinta che il cancro fosse una malattia dovuta ad un agente patogeno, per avere conferma di tale sua asserzione e dimostrare la trasmissibilità dei tumori, il 26/07/1950 si auto contagiò di cancro. La sintesi di tutto il suo lavoro è racchiusa nel volume "Eziopatogenesi, diagnosi precoce, terapia, profilassi del cancro".
L’Intervista alla dott.ssa Fonti di cui si parla nell’articolo, a cura di Guido Gerosa, è apparsa sulla rivista " Salve" del settembre 1979.

Letture
Marco Pizzi, Alessandro Spreafichi
Traumi e Malattie. Guida alla risoluzione dei conflitti a partire dal metodo Hamer, Macro Edizioni 2008

Tratto da Scienza e Conoscenza n. 27.



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