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Chi ha inventato il Telefono?

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Lucia Montauti - 01/01/2016

 

Il nome di questo geniale inventore, ancora sconosciuto, sembra ora avere il risalto che merita anche a livello nazionale, si è parlato di lui in una non lontana puntata della trasmissione Voyager su RaiDue.

Alla domanda “chi ha inventato il telefono?” oggi ogni italiano risponderebbe senza esitazione: Antonio Meucci. La questione non ha più alcun rilievo economico né alcun interesse per gli eredi, è quindi un dibattito limitato all'aspetto culturale e scientifico e proprio per questo è necessario rendere giustizia a chi ha veramente realizzato l'invenzione dell'apparecchio che, più di tutti, ha modificato le abitudini dell'uomo: Innocenzo Manzetti.

Che fosse lui il primo vero inventore del telefono lo si sostiene da sempre nella sua terra natale: la Valle d'Aosta. In questi ultimi anni le approfondite ricerche di due studiosi valdostani - Mauro Caniggia Nicolotti e Luca Poggianti - hanno contribuito a mettere un po' di ordine nell'intricata vicenda, riportando alla luce la documentazione che prova la priorità di Manzetti nell'invenzione.

Se la priorità del fiorentino Antonio Meucci nei confronti di Alexander Graham Bell è stata affermata anche dagli americani nel 2002, che dire del riconoscimento pubblico che lo stesso Meucci fece dell'invenzione di Manzetti nel 1865, cioè sei anni prima che vedesse la luce l'apparecchio telefonico di Meucci?

Non è solo l'aspetto temporale a stabilire la priorità del valdostano, ma è il confronto tecnico dei due telefoni a chiarire a quale punto fossero i due inventori italiani. Mentre Manzetti nell'estate del 1865 aveva presentato al pubblico il suo telefono con cui si poteva già parlare liberamente in una rudimentale cornetta, Meucci era ancora intento a condurre esperimenti tanto che per parlare si doveva tenere tra i denti una lamella e non era ancora possibile udire parole chiare. Emblematica, quindi, l'affermazione di Meucci fatta nell'ottobre del 1865 di fronte alla notizia dell'invenzione di Manzetti che aveva nel frattempo fatto il giro del mondo: “Io non posso negare al Sig. Manzetti la sua invenzione...” “… e unendo le due idee si potrebbe più facilmente arrivare alla certezza di una cosa così importante”.

Affermazione che, oltre a riconoscere il lavoro del valdostano, implicitamente conferma che a quel tempo Meucci non era ancora arrivato “alla certezza” del suo telefono.

Non si vuole disconoscere in questa sede l'invenzione di Meucci, ma solamente ristabilire la verità temporale tra i due inventori. Manzetti e Meucci, infatti, ebbero percorsi di vita per molti versi simili, nelle loro sfortune e nello scarso riconoscimento ottenuto dal mondo scientifico.


Innocenzo Manzetti ebbe una vita travagliata, distante da quella dell'americano Bell, ricco e “sponsorizzato” dai maggiori potentati economici statunitensi.
Nato ad Aosta nel 1826 da una famiglia di commercianti piemontesi emigrati in Valle alla ricerca di maggiori fortune, Manzetti dimostrò fin da giovanissimo la sua inclinazione per le arti meccaniche e per gli studi scientifici. Riuscì a diplomarsi geometra a Torino, ma solo perché riuscì a pagarsi gli studi svolgendo ogni tipo di lavoro.

Ritornò a vivere ad Aosta, dove lavorò per tutta la sua, purtroppo breve, esistenza. Genio eclettico, amava sperimentare in ogni campo. Oltre al telefono, a lui si debbono numerose invenzioni, che attiravano non solo i concittadini, ma  l'interesse del mondo scientifico dell'epoca. Il suo laboratorio era meta di curiosi e scienziati. Anche se di carattere schivo e riservato, Manzetti era però molto disponibile con chiunque. Non negava a nessuno l'ingresso nel suo laboratorio, né spiegazioni su ciò che stava creando.

Tra i suoi principali ritrovati si ricordano l'automobile a vapore (realizzata 16 anni prima di quella di Bollé, ancora ritenuta a torto la prima ufficiale vettura del genere), la macchina per la pasta (brevettata nel 1857: macchina ancora oggi usata per fare la pasta in casa) e soprattutto l'automa suonatore di flauto (una sorta di robot a grandezza naturale, che gli storici ritengono il primo motore pneumatico al mondo). E' l'opera forse più importante di Manzetti, perché è grazie ad essa che arrivò a creare il telefono. Fu infatti nel tentativo di dare la parola a distanza al suo automa che Innocenzo studiò e realizzò la trasmissione a distanza della parola per mezzo dell'elettricità.

Il problema - non secondario - del telefono di Manzetti fu il mancato brevetto. Per comprendere perché non compì mai questo passo bisogna comprendere il contesto in cui viveva.

Innanzitutto la Valle d'Aosta dell'epoca era molto diversa dal “carrefour” d'Europa quale viene ritenuta oggi. Posta al confine del nascente Regno d'Italia, la Valle veniva considerata un pessimo esempio di patriottismo, ancora schiava della lingua francese parlata dalla quasi totalità della popolazione dell'epoca (Manzetti stesso era di madrelingua francese). Poche le vie di comunicazione, del tutto assente la ferrovia (che arriverà solo nel 1886), la Valle era isolata dai contatti con l'intellighenzia italiana ed europea.

In questo disagiato contesto sociale, politico ed economico, Manzetti dovette affrontare anche condizioni economiche difficoltose che mai gli permisero di coltivare il genio come avrebbe meritato. I genitori non poterono dargli che l'istruzione primaria e solo la costanza e la passione gli permisero di apprendere.
Nemmeno in età adulta ebbe migliore fortuna. Si sposò relativamente tardi e le sue uniche due figlie femmine morirono alla tenera età di 2 e 6 anni. Già bersagliato da una salute cagionevole, il dolore della perdita della seconda figlia fu probabilmente tra le cause che lo portarono alla morte nel 1877, a soli 51 anni.

E' chiaro che in questa situazione Manzetti probabilmente non si rese pienamente conto della portata rivoluzionaria del suo apparecchio telefonico. I brevetti costavano molto sia per il deposito, sia per il mantenimento successivo e l'unica esperienza che Innocenzo aveva avuto in merito (la macchina per la pasta) non gli aveva certo procurato guadagni di sorta (la macchina era stata improvvidamente venduta per pochi soldi ad una società inglese).

Anche il contesto politico di quegli anni era molto particolare. Si pensi che il telefono di Manzetti fu accolto dall'allora Ministro della Pubblica Istruzione Matteucci come inutile, destinato ad un sicuro insuccesso e persino pericoloso per la sicurezza pubblica (l'assenza del funzionario pubblico, presente invece nel telegrafo, avrebbe permesso comunicazioni tra la gente senza alcun controllo).

Erano anche anni di grande contrapposizione tra il mondo cattolico e quello liberale e Manzetti stava “dalla parte sbagliata”: cattolico, Innocenzo era difeso dal mondo clericale valdostano, il suo miglior amico era il canonico Edouard Bérard. Questo aspetto ebbe un ruolo decisivo soprattutto nei decenni successivi, perché la storiografia ufficiale sposò la causa di Meucci, perfetto rappresentante patriottico del giovane Regno d'Italia, in quanto incarnava il ruolo del povero emigrante liberale costretto a fuggire dall'Italia a causa dei moti pre-unitari, amico di Garibaldi (che ospitò anche per due anni nella sua casa di New York) e derubato della sua invenzione dai potentati economici statunitensi.

Al di là di ogni analisi scientifica e storica, la figura di Meucci era certamente più suggestiva e “politically correct” per quegli anni rispetto a quella di uno sconosciuto inventore di lingua francese, abitante in una periferica terra “così pessima rappresentante della giovane Italia”.

Manzetti scomparse dopo solo un anno dal brevetto di Bell, quando il telefono non era ancora giunto in Italia e quando ancora non ci si era resi conto delle infinite ricchezze che avrebbe potuto procurare e che procurò al suo legittimo inventore.
Gli eredi, attratti dalla promessa del pagamento di una somma esorbitante per l'epoca che avrebbe potuto cambiare il corso della vita della moglie e del fratello di Manzetti, tre anni dopo la morte di Innocenzo vendettero agli americani, presentatisi come emissari di Bell, tra i quali H. H. Eldred, tutto quanto era in loro possesso in relazione all'invenzione del telefono. Questo condannò definitivamente Manzetti all'oblio scientifico. Appena rientrato in America H. H. Eldred brevettò, a suo nome, quella che venne definita una miglioria del telefono. Di costoro si persero le tracce, vani furono i tentativi successivi di rintracciarli e nessuna somma fu mai incassata.

Cosa spinge ad ignorare il nuovo? La paura del nuovo stesso o la necessità di distruggere i talenti prima che possano volare troppo in alto da creare, con le loro ali, ombre intorno e sopra di noi?
In questo periodo, in cui nascono e crescono nuovi progetti e nuove professioni, chiediamoci di fronte ad una persona nuova se sia il nostro intelletto oppure soltanto ego e paura a parlare.
A volte gli inventori realizzano qualcosa di grandioso di cui non sanno prevederne ogni possibile sviluppo ma sanno che funzionerà, questo valutiamo, perché il mondo poi non ci ricordi per sempre come figli dell'ignoranza.

In ultima analisi: dobbiamo e possiamo cambiare il sistema di brevetti? E' giusto che la storia ed i meriti vadano a chi può permettersi l'accesso ad una somma, talvolta importante, oppure possiamo immaginare un nuovo iter che porti fama e denaro a chi potrà utilizzarli per portare avanti conoscenza, cuore e passione in questo mondo troppo legato al denaro e poco all'ingegno?
Creative Commons Licenze -
http://creativecommons.org/ - è una prima risposta: organizzazione no profit che rilascia un servizio completamente gratuito permettendo, in Rete, di proteggere il frutto del proprio intelletto dagli “uomini cut-and-paste” (gergo IT).

Per approfondimenti:
http://www.innocenzomanzetti.it
Il laboratorio delle meraviglie di Mauro Caniggia Nicolotti e Luca Poggianti, scritto con la gentile collaborazione del Centro Studi De Tillier.



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