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The Bond: intervista a Lynne Mc Taggart


Elsa Masetti - 01/01/2016

Scrive Lynne McTaggart – giornalista scientifica, ricercatrice e autrice – nel suo blog: “La nostra generazione ha largamente abolito il senso religioso e comunitario sostituendolo con X Factor e internet; c’è poco da meravigliarsi se i nostri figli sperimentano il vuoto morale e un certo sradicamento”. Il suo ultimo libro prende piede da un evento accaduto a una delle figlie, sostituita all’ultimo momento, per la sua parte in uno spettacolo teatrale, da un’altra ragazza che ha barato sul suo curriculum. Quando l’autrice interroga la madre sull’accaduto, riceve una semplice risposta: «È così che vanno le cose!». La domanda che si pone Lynne allora è: «È così, ma deve continuare a esserlo?».
Questo tipo di mentalità, dimostra l’autrice, è poco più che medievale e si basa su una visione del mondo di cui la scienza è la prima responsabile. Le scienze di frontiera, tuttavia, sono ora in grado di sostenere l’evidenza di una storia diversa da quella darwiniana del migliore e del più adatto. Questa nuova storia ci vede connessi, supportarci gli uni con gli altri, equanimi e leali.

Nel tuo ultimo libro, The Bond (Macro Edizioni, 2011) sostieni che il punto non è nella cosa (nella particella, nel singolo, nell’individuo), ma nel legame – it is not in the thing but in the bond. Questa visione non è facile e immediata da cogliere. Che cosa intendi?
Il mondo così come visto dalla scienza accademica è costituito da cose separate e autonome che operano con leggi fisse nel tempo e nello spazio. Certo, questa visione è stata poi amplificata dal lavoro di Charles Darwin, che ha spiegato che la vita si manifesta attraverso la lotta. Così egli ha creato essenzialmente un modello di scarsità, della sopravvivenza del migliore. Fu ispirato, del resto, da un periodo di esplosione della popolazione e di mancanza di risorse. È così che abbiamo acquisito una mente impostata sull’individuo, sull’individualismo e sull’individualità delle cose. Oggi le scienze di frontiera, in ogni area, dalla fisica alla biologia, dalla fisiologia all’antropologia, hanno scoperto che tra le particelle subatomiche, tra il nostro corpo e l’ambiente, tra ogni cosa e persona con cui veniamo in contatto, anche le nostre creazioni sociali, c’è un legame (bond). E per legame intendo una connessione così profonda che non si può dire dove termina una cosa e ne inizia un’altra.

Quindi, affermi, che non possiamo essere senza quel legame?
Noi siamo quel legame, in nessun senso del termine siamo individui. Noi siamo una relazione. Ora ti spiego usando l'esempio delle particelle subatomiche. la scienza continua a guardare a piccole, piccolissime particelle di universo, perché pensa che può spiegarlo scoprendo l’infinitamente piccolo. Prima hanno trovato gli atomi, poi le particelle subatomiche, poi i quarks… i muoni e tutti questi nomi buffi, per realizzare alla fine che non si tratta di una particella, per quanto subatomica, poiché non è affatto una cosa. Esse non sono particelle ma energie vibranti che sono scambiate avanti e indietro e viceversa, come in una partita di tennis. Quello che gli scienziati hanno concluso, quindi, è che non si tratta di cose ma di relazioni. Guardando il nostro corpo, tendiamo a vederlo come autonomo e completamente autoformato dal suo DNA. Tuttavia gli scienziati hanno ora scoperto che i geni sono come tasti del pianoforte e se vengono suonati o meno, dipende da svariate influenze fuori dal nostro corpo, dall’ambiente, dall’aria che respiriamo, dal cibo che mangiamo, dagli amici che frequentiamo. Le influenze esterne influenzano gli atomi dei geni, che a loro volta determinano se quel particolare tasto del DNA sarà schiacciato o meno. Quello che voglio dire è che non ci formiamo dall’interno verso l’esterno, ma viceversa.
Il legame con il nostro ambiente personale, quindi, crea le persone che siamo. Siamo creati da quel legame con l’ambiente. Sono quelle relazioni che accendono e spengono i nostri geni. Fisicamente saresti una persona diversa senza quelle specifiche relazioni. E non sto parlando del colore dei capelli e degli occhi.
Gli esperimenti di epigenetica confermano pienamente l’attivazione dei geni da parte d’influenze ambientali, come il cibo che mangiamo per esempio. Riporto estesamente alcuni di questi studi nel mio libro.

 

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In che modo la tua visione si avvicina e si differenzia da quella di Bruce Lipton?
Il suo lavoro è totalmente focalizzato sull’epigenetica. La mia ricerca si apre a molti altri aspetti. Indago soprattutto – con il sostegno della scienza di frontiera – su ciò che noi pensiamo sia l’individualità, sulla storia che è stata creata intorno al fenomeno chiamato individuo.

Un aspetto per me molto toccante della tua ricerca è quello relativo all’appartenenza, al bisogno di appartenere. Vuoi dire qualcosa a proposito?
Ci hanno detto che siamo nati per essere egoisti e che abbiamo necessità di essere degli individui separati. Il mio argomento nel libro è: no. Ogni aspetto del nostro comportamento sociale mostra che siamo cablati (hard wired) per condividere, prenderci cura e essere equanimi, cablati per connettere. Il nostro bisogno sopra ogni cosa è appartenere e siamo molto deboli se questo senso di appartenenza viene a mancare. A questo proposito possiamo guardare alla scoperta di uno dei tuoi compaesani: Giacomo Rizzolatti, il neuroscenziato che, lavorando con le scimmie, ha scoperto i neuroni specchio ovvero la condivisione dei circuiti neuronali. Ora, partendo da questa sorprendente scoperta, valida anche per l’uomo, vediamo che gli stessi neuroni attivati dall'esecutore durante l'azione o l’insorgere di una emozione, vengono attivati anche nell'osservatore delle stesse. La credenza che i nostri pensieri, quindi, siano completamente individuali cade: i pensieri sono nostri quanto di quelli che ci circondano. Per comprendere le persone che ci circondano dobbiamo stimolarle mentalmente e in un certo senso fonderci con esse.
Guardiamo per esempio il comportamento del sole – e ci coccorrono qui svariate verifiche scientifiche. Si chiama “cronoastrobiologia” l’effetto del sole sulle cose viventi. Se prima si era scoperto che l’attività solare influenza soprattutto alcune parti del corpo umano – una di queste è il cervello – ora hanno verificato che influenza l’intero comportamento. Molte evidenze dimostrano che siamo influenzati dalle attività geomagnetiche. Esse aumentano o diminuiscono certi atteggiamenti e certi stati mentali. Di fronte a tali dimostrazioni, quindi, come possiamo continuare a pensare in termini d’individualità e non appartenenza? Siamo piuttosto un superorganismo intergalattico. Siamo totalmente interdipendendi e interconnessi. Questo dimostra di nuovo che la natura ci ha progettati non per competere, ma per connettere. Tuttavia, la storia che finora ci hanno raccontato, ha reso la competizione scontata, ovunque nel mondo. La competizione è il motore delle relazioni. Il modello imperante dice che se vuoi vincere, qualcuno deve perdere. Nel mio libro dico che dobbiamo cambiare questa credenza, in questo modo il mondo non può più andare avanti. Penso che siamo alla fine del periodo in cui tale credenza può sopravvivere. Ora, molto di ciò che ha funzionato, si dimostra disfunzionale e sta saltando in aria.

Tuttavia abbiamo dovuto attraversare questo malinteso storico-scientifico, se così vogliamo chiamarlo… Avremmo potuto evitarlo?
Non tutte le società conoscono la competizione allo stesso modo. Non tutte le culture sono competitive. Alcuni gruppi tradizionali, e anche i nostri antenati, hanno dimostrato che all’interno del gruppo poteva esserci una larga cooperazione. Ma se guardi a cosa ci è successo negli ultimi 300 anni vedi bene che c’è stato un movimento per rafforzare e definire una mentalità avversativa e competitiva tra singoli. C’è stata la rivoluzione scientifica che ci ha definito quali individui. Ricorda che all’inizio abbiamo dovuto creare la struttura, la storia che ci portasse a credere che siamo singoli, individualmente separati e la più grande influenza sull’uomo contemporaneo probabilmente è da attribuire proprio alla scienza. Il concetto di singolo, d’individuo è nato nel 1700 e Darwin con L’origine della specie ha completato l’opera. Da allora è anche nato il concetto del migliore, del numero uno. E questo ha giustificato molte delle strutture culturali, sociali, economiche dominanti che oggi conosciamo. Nel sistema finanziario, per esempio, i pochi non hanno pensato ai molti, ma un gruppetto di persone selezionate ha creato strumenti finanziari instabili che hanno portato il sistema vicino alla distruzione.

In molti dei cammini spirituali, e a misura dell’evoluzione attraverso i diversi livelli di coscienza, appare la necessità di cristallizzarsi prima nella nostra natura individuale per poi eventualmente dissolversi di nuovo in un campo più grande, più vasto. È questo il processo che anche la scienza sta attraversando?
Credo di comprendere quello che vuoi dire. Non sto argomentando contro persone che vanno attraverso una scoperta individuale e spirituale della loro natura. Di fatto, nel libro parlo molto di come ognuno di noi abbia bisogno di imparare a vivere in modo più olistico e di cambiare la modalità d’entrare in relazione. Quello che intendo è: siccome ci autodefiniamo così tanto, costantemente focalizzati sul me, crediamo che la competizione sia necessaria per guidare il mondo e l’abbiamo esportata in ogni area della nostra vita. Abbiamo modelli altamente competitivi nell’educazione, la concorrenza è il motore centrale negli affari, nell’economia e spesso tale motore è presente anche nelle semplici relazioni, le quali diventano avversative in quanto basate sul modello del "se io voglio vincere tu devi perdere". Se vinco deve essere a tue spese. Ora, l’altro aspetto di questa mentalità è: uffa, chi se ne importa, mi prendo cura di me e solo di me… Questa attitudine è molto pervasiva, per questo nel mio libro insisto sul fatto che questo schema mentale vada cambiato, perché ci sta uccidendo: toccheremo il fondo di quel tipo di vecchia mente visto che ci sta spegnendo come l’acqua il fuoco, spingendoci in una direzione contro natura. La natura ci connette spontaneamente l’uno all’altro. Siccome lo ignoriamo e abbiamo creato credenze sociali che ci vogliono l’uno contro l’altro ora siamo nei guai, siamo deboli.

Comprenderlo significa anche cominciare a soffrire di meno?
Certo, esattamente. Ho scritto questo libro per offrire alla gente una storia diversa e dire che viviamo secondo una teoria sbagliata e questa è la nuova, che, di fatto, è antica, ma trova ora supporto in molta della nuova scienza. È recuperare terreno su quello che molti maestri spirituali hanno detto in migliaia di anni. Con questa nuova storia riconosciamo che quando condividiamo la nostra cura ed equanimità, “cresciamo” e quando non lo facciamo, quando entriamo in competizione, siamo deboli. Prima è necessario mostrare una nuova storia, poi arrivano i “nutrienti” per recuperare la connessione. E questo ci spinge a imparare a vivere in modo molto più olistico. Nel pensare esclusivamente a ottenere per me e nel guardare alle singole cose, ci viene a mancare la chiave sottile e la connessione tra le cose. E non tutte le culture – come dico nel libro – la vedono in questo modo. Qui, in Occidente, siamo abituati a focalizzarci sulla cosa, sull’oggetto centrale e questo è il modo con cui vediamo le relazioni. Ci è stato insegnato costantemente a guardare a noi stessi come singoli, a metterci al primo posto. Dobbiamo imparare che esistono molte versioni della realtà. Ci è stato insegnato che la nostra via è l’unica e che nessun’altra conta. La nostra visione deve essere la verità. Porto un esempio. Conosco una persona che lavora come mediatore di pace e usa viaggiare in regioni dove ci sono forti conflitti sociali. Si trovava in terra palestinese, nei territori occupati. Stava lavorando con un’organizzazione che includeva entrambi: israeliani e palestinesi. A un certo punto ha sollevato una domanda: «Com’è possibile che lavoriamo così bene insieme?». E gli altri hanno risposto: «Perché abbiamo imparato a vivere con il paradosso». E lui ha aggiunto: «Che significa?». «Bene, ti faremo un esempio: i palestinesi scriveranno il paragrafo del conflitto narrando della lotta, dei morti, della fatica per creare i loro rifugi, dei disagi e dell’orrore di rimanere senza tetto… Gli Israeliani scriveranno lo stesso paragrafo raccontando della mortificazione, dell’estorsione della loro indipendenza, che di fatto gli era stata affidata alla fine dell’ultima guerra, e di quanto terribile sia non poter vivere in pace nella loro unica terra…». E la “tragedia” è che entrambe le storie sono vere.
C’è sempre almeno un’altra versione della realtà e anche questo significa imparare a essere olistici. Questa è la prima cosa. La seconda è come cambiare il modo di entrare in relazione, gli uni con gli altri, cessando di utilizzare l’altro per giochi personali e focalizzandoci davvero sulla relazione – letteralmente lo spazio tra di noi – in modo da conquistare un diverso tipo di prospettiva e fare il necessario per andare incontro all’altra persona.

In che modo l’idea scientifica d’indeterminazione – il fatto che non puoi mai conoscere pienamente tutto su una particella subatomica – s’interfaccia con lo sforzo enorme, in risorse umane e denaro, intrapreso da chi persegue il modello standard, per cercare proprio quel tutto?
Arrivo a una risposta in modo indiretto, poiché mi rendo conto che è necessaria una parentesi sui luoghi comuni della scienza. Pensiamo alla scienza come a un qualcosa di assolutamente vero: di fatto ogni nuova scoperta rende quella a monte dubitabile e talvolta obsoleta. Così, la fisica quantistica è una delle spiegazioni accettabili. Tuttavia, sebbene i fisici quantistici diano per buono il concetto d’indeterminazione, non puoi sapere niente su una particella quantistica finché non procedi a una sorta di misurazione e, solo a quel punto, diventa qualcosa di reale, non solo un potenziale. Così, il mondo scientifico intorno alla fisica quantistica, in questo momento, crede che la particella sia, in concreto, inconoscibile perché non è ancora in atto, è soltanto in potenza. E magari, in futuro, scopriremo che è sbagliato e qualcosa d’altro prende il suo posto e avremo a quel punto una comprensione migliore. Tuttavia questo è ciò che sappiamo ora. Anche il modello standard è solo una cruda approssimazione di ciò che c’è. Prendi per esespio la materia oscura. Gli scienziati dicono che non sappiamo praticamente niente del 95% dell’universo o qualcosa di simile. Ora, questo è straordinario… siamo appena agli inizi.

Quindi è oscura, poiché è davvero oscura, nel senso che non sappiamo niente a proposito?
Esattamente – (ridendo).

Scrivi nel tuo ultimo libro: «mi auguro di risvegliarti a chi sei veramente!». Devo supporre quindi che tu sia risvegliata. Lo sei?
Beh, io sono solo una messaggera, (non affermo un mio risveglio o come perseguirlo), segnalo un certo tipo di lavoro che andrebbe fatto per uscire dal vecchio tipo di mente. Offro due cose in The Bond: una è una nuova porta scientifica e l’altra è una blue print dell’area in cui io penso sia necessario cambiare. Penso a un approccio più olistico, a come relazionarci più olisticamente, a come allargare la visione di ciò che pensiamo di essere, a come avvicinare le persone verso un obbiettivo più grande (vedi capitolo 11) e anche a come trasformare il nostro scopo, così che non sia cosa c’è qui per me o come ottenere per me, ma come posso essere al servizio, come posso essere il cambiamento che è in corso. Quello che davvero suggerisco nel libro è come cambiare il nostro disco rigido interno. Il nostro hard drive ora è basato sulla visione di essere un individuo e dal paragonarsi. Questo è il programma in atto, e io dico che va cambiato. Sto lavorando insieme a molti altri per cambiare tale programma e quello che cerco di fare con il mio ultimo libro è capire ciò che, a mio avviso, stiamo sbagliando e in quale diversa direzione penso si debba andare. Il solo scrivere il libro mi ha trasformata interiormente, come anche scrivere The Field.

È affascinante seguirti nel tuo chiarire e documentare scientificamente che di base la materia invece che essere una piccola, piccola particella è una relazione tra due energie e il campo di fondo.
Assomiglia al modo in cui veniamo alla vita nella carne. Ti pare?
Inoltre, secondo te, questo solido qualcosa arriva a essere percepito da una connessione nello spazio tra una grande ragnatela (web) d’energia di fondo e un piccolo nodo d’energia. E solo ciò che è osservato viene alla luce. Potrebbe facilmente apparire che la materia-carne è illusoria e che vivere sia un semplice nodo d’energia che attende di sciogliersi nella grande ragnatela?
Si, è così, siamo energia subatomica, siamo fondamentale la stessa cosa… Tuttavia percepiamo noi stessi, ci sentiamo reali, non penso che possiamo dire che la materia-carne sia illusoria. La carne non è semplicemente illusoria, ma il nostro senso di separazione lo è. Poiché non vediamo tutte le vibrazioni delle particelle sub atomiche, fuori e dentro di noi, fatichiamo a comprendere che c’è dell’energia trattenuta, qui e là, e noi siamo quei nodi di energia nel grande campo, nella grande ragnatela, come dici tu.

Quale sarebbe nel tuo cuore di madre il più grande augurio/speranza per le tue figlie?
Oh mio dio, questa sì che è una grande, grande domanda. Il mio più vibrante pensiero per loro… Spererei… che siano in grado di entrare in connessione con lo spazio del cuore verso tutti e tutto ciò che le circonda, libere da qualsiasi senso di competizione. La mia più grande speranza per loro penso sia che possano essere pienamente loro stesse, perché sono entrambe due ragazze straordinarie, in modi molto diversi, e spero che possano realizzare ciò e incoraggiare a loro volta la connessione, sperimentandola veramente nella loro vita. Gioire del senso di connessione. Il mio migliore augurio è che crescano in un mondo migliore di questo ed entrino in sintonia con l’immensa responsabilità di un mondo più felice, perché sono due ragazze, insieme a molte/molti altri, in un mondo in crisi.

Abbiamo intervistato Lynne McTaggart
Brillante conferenziere, giornalista e scrittrice di fama internazionale, Lynne McTaggart è esperta di scienze di frontiera e di medicina alternativa. Dirige insieme al marito l’associazione What the Doctors Don’t Tell You ed è conosciuta per la pubblicazione di importanti riviste e saggi di salute e spiritualità. Attualmente Lynne McTaggart vive in Inghilterra insieme al marito e alle due figlie.


Elsa Masetti
La sua ricerca nel campo delle relazioni interpersonali e intime è iniziata molto presto, insieme alla consapevolezza giovanile di un disagio e di... Leggi la biografia
La sua ricerca nel campo delle relazioni interpersonali e intime è iniziata molto presto, insieme alla consapevolezza giovanile di un disagio e di una sofferenza profonda legati a una mancanza di autenticità e di reale e sincera esposizione al vero.Le relazioni sono allora diventate per lei un terreno di conoscenza di sé che le ha permesso di... Leggi la biografia

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