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Le RADICI dell'ENTANGLEMENT

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Renato Pagliaro - 01/01/2016

Il fenomeno dell'Entanglement, parola inglese traducibile con il termine di “intreccio-non-separabile” (ma che sta anche a significare “situazione imbarazzante”) è un fenomeno quantistico in cui lo stato quantico di due oggetti risulta strettamente dipendente l'uno dall'altro, anche se questi oggetti sono separati spazialmente.

L'esempio classico usato per descrivere l'Entanglement quantistico è un sistema costituito da due particelle (tipicamente due elettroni appartenenti allo strato più esterno di un atomo o di una mole-cola) che hanno la caratteristica di mantenere sempre i loro spin in direzione opposta. In parole po-vere si osserva che una stessa zona attorno al nucleo di un atomo può contenere al massimo due e-lettroni e che per di più le due particelle si devono muovere in modo perfettamente complementare per poter condividere quella zona. Questa complementarietà è indicata da quello che viene chiamato con il termine inglese spin assimilabile al movimento di rotazione di una trottola, la quale può gira-re in un senso (spin-su) e in senso opposto (spin-giù).  Per tornare all'esempio degli elettroni, è co-me dire che due elettroni non possono condividere la stessa zona di influenza rispetto al nucleo se non mantengono costantemente uno lo spin-su e l'altro lo spin-giù.

Il fenomeno descritto è a dir poco bizzarro, tanto che lo stesso Einstein lo etichettò come una sini-stra azione a distanza e considerò tutta la teoria quantistica “incompleta” in quanto portava a feno-meni di non località.

Per capire meglio le perplessità manifestate da Einstein occorre ricordare che quando si entra nel campo quantistico le misurazioni effettuabili sulle particelle sono di tipo statistico o “probabilistico”. Non esiste infatti la reale possibilità di individuare una singola particella in una ben definita porzione di spazio ma solamente la probabilità che la particella si trovi in quella porzione e quindi ci si trova nell'impossibilità di predire lo stato della particella. Lo stesso vale per lo spin, che quindi può essere misurato (su o giù) ma non può essere fissato ad un valore determinato in un tempo de-terminato.

Dato che, in presenza di entanglement, qualunque sia il valore dello spin assunto da una delle due particelle, il corrispondente valore assunto dall'altra particella è sicuramente opposto al primo, si ar-riva alla conclusione che tale statistica si applica al “sistema” composto dalle due particelle e non alle singole particelle.

Un'implicazione non banale di quanto detto è che se due particelle entangled venissero separate (non importa se di pochi micron o di anni luce) il tempo di reazione per mantenere in opposizione lo spin della particella entangled sarebbe sempre zero e quindi la velocità di trasferimento dell'informazione (cioè lo spazio percorso diviso il tempo necessario a percorrerlo) sarebbe infinita.
Einstein, che aveva scoperto il limite invalicabile della velocità della luce per tutti gli oggetti dotati di massa, non poteva quindi considerare la nuova teoria quantistica molto “simpatica”. Infatti, per accettare l'entanglement quantistico, è necessario ipotizzare una situazione al di fuori dello spazio-tempo classico (quello che viene detto appunto fenomeno di non località) in cui tutto è istantaneo e non collocato nello spazio.

Nel 1935 Einstein, insieme a Podolsky e a Rosen costruirono il cosiddetto paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen (paradosso EPR) cioè un esperimento ideale che si proponeva di evidenziare l'incompletezza (se non addirittura l'inconsistenza) della teoria quantistica.

L'esperimento è in realtà solo una congettura ma porta alla dimostrazione logica che una misura eseguita su una parte di un sistema quantistico può modificare istantaneamente il risultato della misurazione eseguita su un'altra parte dello stesso sistema quantistico.

Dato che tale effetto è indipendente dalla distanza che separa le due parti, fu chiamato azione istantanea a distanza ed è chiaramente incompatibile con la teoria della Relatività ristretta di Einstein.

Per inciso, è interessante osservare che, sebbene la teoria quantistica crei dei paradossi temporali e spaziali, tuttavia mantiene il principio di causalità… e proprio per questo è difficile da comprendere per la logica comune. Noi siamo fortemente condizionati nel pensare che un qualsiasi effetto possa essere osservato solo dopo (quindi nel tempo) l'evento che lo causa, mentre nella teoria quantistica è possibile osservare un effetto prima o contemporaneamente alla sua causa, pur mantenendo intatto il collegamento causa-effetto.

In realtà la meccanica quantistica è fortemente controintuitiva se confrontata con la maggior parte delle esperienze pratiche quotidiane. Ma questo è vero solo se tali esperienze sono limitate a livelli fisici macroscopici: volendo escludere a priori tutti le manifestazioni cosiddette “paranormali” (come ad esempio la telepatia) ci sono infatti molti eventi fisici e sperimentali che dimostrano l'esistenza di fenomeni non locali.

Anche il principio di indeterminazione di Heisenberg, che sancisce che non è possibile misurare con la stessa precisione la posizione e la quantità di moto di una particella quantistica, può essere considerato un fenomeno correlato alla non località.

Inizialmente il principio di indeterminazione fu spiegato dallo stesso Heisenberg sostenendo che l'atto di misurazione della posizione disturbava inevitabilmente la sua quantità di moto, in quanto era necessario interagire energeticamente con la particella da misurare. In realtà si è scoperto in seguito che il disturbo dovuto alla misurazione non gioca nessun ruolo, in quanto il principio è valido anche quando la posizione viene misurata in un sistema e la quantità di moto viene misurata in una copia identica (ma distinta) del primo sistema. Si potrebbe giungere alla conclusione che in mecca-nica quantistica le particelle non possiedono una ben definita coppia posizione e momento in quanto non sono in realtà posizionate nello spazio-tempo.

 E' stato anche enunciato un teorema che sancisce l'impossibilità di trasmettere, tramite la proprietà dell'entanglement, informazioni a velocità superiori a quelle della luce, e che anzi non è possibile sfruttare questa proprietà per nessun tipo di trasmissione, proprio perché è impossibile determinare l'esito di una misura tramite l'atto del misurare. Infatti lo spin dell'elettrone, come tutte le grandezze quantistiche è di tipo probabilistico il che vuol dire che può essere misurato ma non predeterminato.

Nonostante tutto l'entanglement è alla base delle tecnologie emergenti dei computer quantistici e della crittografia quantistica, e i recenti esperimenti relativi al cosiddetto teletrasporto quantistico fanno pensare che l'entanglement sia un fattore importantissimo per questo Universo.

Il fenomeno dell'entanglement sembra fortemente correlato al concetto di antinomia. In altri termini un sistema di due elettroni entangled è molto simile al “paradosso del mentitore”: infatti è come se lo stato quantico di uno dei due elettroni fosse perennemente la negazione dello stato quantico del suo entangled, senza peraltro modificare neanche un po' la libertà di espressione di quello.

La coppia di due elettroni entangled si comporta quindi come un “mentito re” che, asserendo “io sto mentendo”, non permette di stabilire se sta dicendo la verità oppure no(1) e quindi rimane libero di dire ciò che gli pare e piace. E' importante a tal proposito sottolineare che la causalità (che permette tra l'altro di distinguere la causa dall'effetto) rimane salva e proprio tale causalità genera il loop infinito necessario per determinare la verità senza peraltro raggiungerla mai.

Probabilmente la scoperta dell'entanglement è la migliore dimostrazione della libertà intrinseca del nostro Universo. Tale libertà intrinseca non può che scaturire da una situazione iniziale antinomica che, pur confermando la causalità, non limita la libertà di interpretazione della verità dando così o-rigine a quel loop perpetuo che chiamiamo scorrere del tempo.
Ma è possibile ipotizzare una simile situazione iniziale?
Provate a scrivere su un foglietto di carta la seguente frase:
SUL RETRO DI QUESTO FOGLIO E' SCRITTA UNA FRASE FALSA
Adesso girate il foglietto e sull'altra facciata scrivete quest'altra frase:
SUL RETRO DI QUESTO FOGLIO E' SCRITTA UNA FRASE VERA
Avete appena costruito un'antinomia molto semplice.
Infatti se cercate di capire se il foglietto dice la verità o una menzogna interpretando il significato delle due frasi vi troverete nella oggettività di non poter dire nulla pur rendendovi conto che è necessario girare il foglietto tra le mani per dire qualcosa. Eppure le frasi sono inequivocabilmente chiare e comprensibili.
Qualcuno obietterà subito che qualsiasi linguaggio non può rappresentare se stesso e se la caverà brillantemente strappando il foglietto ma il fascino dell'antinomia rimarrà scritto nei pezzetti di carta.

Quasi tutti i grandi pensatori si sono imbattuti nel problema posto dalle antinomie e hanno cercato di proporre soluzioni soddisfacenti.
Secondo Aristotele (384 - 322 a.C.) si sta usando una frase insolubile che non dice letteralmente nulla e pertanto la proposizione antinomica (o meglio, la pseudoproposizione) deve essere sempli-cemente cassata. Ma evidentemente questa soluzione è stata considerata troppo semplicistica già da Guglielmo di Occam (1285-1350) il quale introdusse una distinzione tra linguaggio e metalinguaggio in modo da poter analizzare le frasi cosiddette autoreferenziali a un livello di astrazione supe-riore a quello del linguaggio. Più interessante ancora fu la proposta di soluzione del suo allievo Giovanni Buridano (1300 - 1358), che intuì che un'affermazione non è vera o falsa in assoluto, ma solo relativamente ad un certo momento storico: mentre non è possibile che una frase possa essere vera e falsa contemporaneamente, essa può esserlo in tempi diversi.

Ma cosa succederebbe se il Silenzio fosse l'unica affermazione di se stesso?
Qualsiasi suono o parola (anche pronunciata mentalmente) da un lato lo romperebbe e dall'altro lo farebbe percepire (alla fine delle parole). Viceversa, se nessuno parlasse mai, probabilmente non ci sarebbe nessuno … tranne il Silenzio stesso.
Quello che sto per dire è che è ipotizzabile una Antinomia primaria molto simile al silenzio assoluto, che si automanifesta (senza fare uso di alcun linguaggio) al di fuori dello spazio-tempo e che anzi è la radice dello stesso spazio-tempo.
Matematicamente parlando si potrebbe scrivere come:

=>(vedi cerchio barrato diagonalmente)

che si legge:
“ciò che non si vede” implica l'intuizione dell'”insieme vuoto”
E' qui che entra in gioco la mia “Teoria della Contrazione Universale” (TCU), la quale si basa pro-prio su questa Antinomia Originaria che è implicita nel Nulla inteso come Contenitore del Tutto.
Si potrebbe dire che il Nulla stesso è antinomico e quindi permette l'autoreferenzialità contempora-nea e non-locale di tutto e del contrario di tutto.
Dall'ipotizzata Antinomia Originaria è possibile quindi derivare la natura libera intrinseca dell'Universo (dimostrata nel principio di indeterminazione di Heisenberg) dalla quale, a sua volta, deriva la reale libertà degli esseri.

Grazie a tale Antinomia infatti:
o è permesso proporre frasi insolubili senza dover essere cassati dai seguaci di Aristotele;
o è possibile descrivere con un linguaggio ciò che è al di sopra di ogni linguaggio (cioè comprendere aspetti sempre più vasti della Realtà) come proposto da Guglielmo di Occam;
o è possibile intuire il non-tempo e il non-spazio analizzando in tempi successivi gli aspetti antinomici della Verità, come nella soluzione di Buridano.
La TCU ipotizza che l'Antinomia Originaria sia l'automanifestazione del Nulla, così come il Silenzio si autorappresenta proprio perché non c'è nulla e nessuno che “fa rumore”. In altri termini ciò che non c'è, proprio perché non c'è, si sta manifestando, e così facendo nega contemporaneamente la propria manifestazione rimanendo ciò che non c'è.

In principio non si può ancora parlare né di spazio né di tempo ma solamente di “modi” e di “volte” in cui la manifestazione avviene.
Proprio il “modo” di autorappresentarsi darà luogo allo spazio inteso come dimensioni e simmetria (2) mentre le “volte” in cui si verifica la rappresentazione secondo quel “modo” darà luogo alla sensazione di scorrere del tempo.
E' facilmente intuibile che se qualcosa si manifesta lo deve fare almeno in un modo e almeno una volta. Quindi lo spazio e il tempo devono essere intimamente connessi. Nel senso che non può esistere uno spazio senza un tempo in cui manifestarsi, né un tempo senza uno spazio in cui scorrere. Inoltre, mentre uno stesso modo può essere ripetuto un numero infinito di volte, le volte non posso-no che ripetersi aumentando continuamente, e questo spiega perché il tempo sembra scorrere solo in avanti.

Meno intuitivo ma altrettanto importante è la considerazione seguente: un particolare modo di manifestarsi, se si manifesta una volta, allora si manifesta infinite volte. Infatti la manifestazione di ti-po antinomico, essendo fuori dal tempo e dallo spazio, è contemporaneamente vera e falsa, il che equivale a ripetere infinite volte il ciclo della manifestazione, che implica la non-manifestazione, che implica la manifestazione, che implica la non-manifestazione… e così via all'infinito. Questo spiega perché sembra che il tempo debba scorrere senza fine.

In questo contesto a-temporale (e di conseguenza non-spaziale) tutte le istanze delle manifestazioni antinomiche sono indistinguibili e indipendenti fra di loro. Si potrebbe arditamente dire che l'unico entanglement possibile in un contesto simile è fra l'essere e il non-essere (manifestazione); in quanto l'uno stato esclude certamente l'altro e la contemporaneità equivale a una probabilità esatta del 50% di trovarsi in uno stato piuttosto che nel suo opposto. In altri termini si potrebbe affermare che ogni punto è in “entanglement originario” con il punto vuoto che esso stesso rappresenta. Da un punto di vista matematico si potrebbe anche parlare di una serie di infiniti termini convergente in un valore finito che è l'enunciazione stessa dell'antinomia.

Fino ad ora (ancora il tempo e lo spazio sono entità non-nate) ogni punto vuoto di contenuti può solo affermare di essere così… infinite volte: potremmo dire che può solo dire “io sono” senza poter specificare altri attributi di se stesso.

Adesso è necessario fare un salto di astrazione ancora più ardito: l'affermazione “io sono” non solo non ha attributi, ma è anche indipendente, quindi è valida per infiniti punti. Se prendiamo l'insieme dei punti che in modo indipendente si stanno manifestando con la stessa simmetria e numero di di-mensioni otteniamo un sistema che può manifestare una o più interazioni fra gli entanglement originari dei vari punti. Ma perché ciò possa avvenire è necessario ipotizzare un modo “sincronico” di manifestarsi. In altre parole è necessario che, statisticamente parlando, tutti i punti dell'insieme appena ipotizzato si manifestino rinunciando alla propria libertà assoluta dovuta all'entanglement o-riginario riducendolo a una vibrazione più grezza  “commensurabile” con quella di tutti gli altri.

Nella Teoria della Contrazione Universale il nostro Universo è definito proprio come un insieme i punti che si manifestano sincronicamente con identiche modalità di simmetria e dimensione. E proprio per questa caratteristica le relazioni più intime fra i vari punti generano il fenomeno di entan-glement quantistico che oggi noi verifichiamo sperimentalmente.

Per chi fosse incuriosito dal motivo per cui ho dato alla mia teoria il nome di Contrazione Universale, voglio specificare che il concetto di contrazione cui mi riferisco è una metafora con la quale cerco di sintetizzare la necessità di eseguire un certo numero di passi logici (in un certo tempo) per rendersi conto della natura intrinseca di un'antinomia. Infatti, sebbene il processo di analisi di un'antinomia porti a un susseguirsi infinito di proposizioni che si auto-negano, è possibile percepire mentalmente un collasso di tale processo in una conclusione intuitiva che non risolve l'antinomia ma che nel contempo non la cassa (in definitiva l'antinomia rimane sempre enunciabile). In altre parole, è come se l'entanglement originario, uniformemente sparso in un contesto non spazio-temporale, si condensasse (da cui il termine contrazione) nello spazio-tempo dell'Universo e l'entanglement quantistico rappresentasse la sua contrazione percepibile.

In particolare, il processo sincronico che da luogo alla possibilità di interazione fra i vari punti che si contraggono con la stessa modalità (3 dimensioni a simmetria sferica per il nostro Universo) da luogo alla nascita contestuale dello spazio e del tempo.

Per la TCU, infatti, lo spazio e il tempo non solo sono intrecciati indissolubilmente fra di loro, ma assumono una qualsiasi valenza solo in virtù dell'interazione di due o più punti sincronici, che viene percepita come distanza temporale e spaziale fra di essi.

Non possedendo qualità intrinseche, spazio e tempo sono quindi percepibili/misurabili solamente nei punti che sono in interazione sincronica, cioè dipendono dall'osservatore e dalle sue interazioni con il contesto. Ciò concorda perfettamente con la teoria della relatività e ne potrebbe addirittura fornire una forte motivazione logica.

In conclusione, se definissimo con il termine intelligenza il processo che porta i singoli punti di entanglement originario a costituire l'insieme di punti sincronici che abbiamo definito Universo, la Teoria della Contrazione Universale potrebbe dare una nuova e stimolante visione dell'entanglement quantistico come “principio informatore” dell'Intelligenza Universale.

Note
 1)Se, infatti, dicesse la verità allora la frase “io sto mentendo” non sarebbe una menzogna e quindi non sarebbe vero che lui sta mentendo… ma in tal caso la frase “io sto mentendo” sarebbe falsa e quindi essa stessa una vera menzogna… e così via.
2)Nel caso del nostro Universo si può parlare di 3 dimensioni con simmetria sferica da cui deriva la forma sferica di propagazione della informazioni e la tendenza dei corpi celesti e delle particelle a-tomiche ad assumere forme sferiche.

 



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