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È tempo… di neuroscienze!


Demis Basso - 01/01/2016

Questo articolo è tratto da Scienza e Conoscenza n. 33.

Il tempo scorre. Secondo i latini addirittura fugge. Alcuni si chiedono se esiste o se sia solo un artifizio culturale creato dall'uomo. Mentre Einstein lo considerava la quarta dimensione, e la filosofia talvolta lo pone alla base della crescita e talvolta addirittura lo nega, le neuroscienze cercano di trovarne una definizione in base agli effetti sul comportamento e sui processi cerebrali.
Anche se le neuroscienze non hanno dato ancora risposte definitive, pare che esistano differenti orologi interni per tre scale temporali, sui quali influiscono i neurotrasmettitori Dopamina e Acetilcolina.
È da tempo conosciuto l’orologio circadiano, responsabile della regolazione dei ritmi sonno/veglia e dell’appetito, il quale coinvolge il nucleo soprachiasmatico.
Il secondo orologio si occuperebbe degli intervalli tra i secondi e le ore, come quando ci chiediamo quanto manca all’ora di pranzo o se faremo in tempo a prendere il treno. Di tale difficile compito è responsabile una rete di aree cerebrali quali i gangli basali, l’area supplementare motoria, e le cortecce associative prefrontali e parietali.
Infine, esiste un timer dell’ordine dei millisecondi, localizzato nel cervelletto, che si occuperebbe di regolare il controllo motorio. Possiamo elaborare gli eventi con una buona precisione: basti pensare alla fine discriminazione con cui si percepiscono errori nel doppiaggio di un film, o nella produzione di sequenze motorie complesse come suonare il pianoforte.
Nonostante queste abilità, il nostro sistema cognitivo è poco affidabile: ad esempio, il tempo ci sembra troppo veloce quando ci divertiamo, mentre sembra non passare mai quando ci annoiamo. Uno degli effetti più stabili è il “temporal order error”: gli intervalli sotto al secondo sono vissuti come più veloci di quanto siano, mentre quelli sopra il secondo sono vissuti come più lenti. Infatti, quando scatta il verde siamo velocissimi a suonare il clacson se l’auto davanti tarda a partire, mentre i pochissimi secondi del giallo si dilatano fino a permetterci di passare “almeno dieci volte”! I giudizi temporali quali durata, ordine, simultaneità, sono continuamente soggetti a distorsioni, per lo più dovute a interferenze di un livello attentivo insufficiente, o di un’alta carica emotiva. È facilmente intuibile come quando si è stanchi o distratti dalla televisione o accalorati per una discussione sia più difficile accorgersi di quanto tempo sia passato. 
Ma di quanto si sbaglia? In che direzione? In quali condizioni la prestazione è peggiore? La risposta a queste domande permetterebbe di sviluppare dei “correttivi”, particolarmente utili per i cosiddetti ritardatari cronici. Non solo: pazienti con morbo di Parkinson, schizofrenici, o bambini con disturbo da attenzione e iperattività mostrano problemi nella stima del tempo, e con riabilitazioni specifiche si potrebbero migliorare le loro condizioni. Il vecchio adagio “chi ha tempo ha vita” ben rappresenta le neuroscienze del tempo.

Questo articolo è tratto da Scienza e Conoscenza n. 33.

Demis Basso
Dottore di ricerca in Psicologia Cognitiva, responsabile del Laboratorio di TMS e membro del Lifespan Cognitive Neuroscience Lab presso il Dipartimento di Psicologia Generale, Università di Padova è tra i fondatori del CeNCA (Centro di Neuroscienze Cognitive Applicate).
Per contatti: demis.basso@cenca.it.



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