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Tempo di guarire: una testimonianza sul metodo Gerson

Cancro: le cure alternative

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Tempo di guarire: una testimonianza sul metodo Gerson
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Redazione - Scienza e Conoscenza - 09/11/2017

Beata Bishop, co-autrice con Charlotte Gerson di Guarire con il Metodo Gerson (Macro Edizioni), oggi ha 93 anni e, quasi 40 anni dopo la sua diagnosi, non c’è nessun segno del suo melanoma. Ecco alcuni brani del suo libro, Tempo di Guarire (Verdechiaro Edizioni) che parla della sua guarigione con il Metodo Gerson (ndr).

Avrei dovuto morire di melanoma maligno, una delle forme di cancro a più rapida diffusione, pressapoco nel giugno del 1981. Oggi sto bene, nel senso più completo del termine, non in quanto non ammalata, ma perché godo di gran benessere ed energia. Quando alla fine del 1980 fu diagnosticato il mio cancro secondario, soffrivo anche di diabete, di un’incipiente osteoartrite, di frequenti attacchi di emicrania e di ascessi dentali cronici. Tutti questi malesseri sono scomparsi; è come se mi fosse stata concessa una seconda giovinezza.

Buona parte della mia gamba destra, mutilata dalla chirurgia contro il cancro, si è rigenerata. Un amico medico mi ha assicurato che una tale rigenerazione è impossibile, e io gli credo – solo che mi capita di camminare su questa impossibilità ogni giorno della mia vita.

Accanto alla guarigione del corpo, ho vissuto anche una trasformazione interiore, che ha portato via molte delle mie paure, dei fardelli e dei valori obsoleti, lasciandomi con un senso di accresciuta libertà e completezza. Mi preoccupo molto di meno e rido molto di più rispetto al passato. Una volta che si è arrivati alla soglia della morte e poi si è tornati ad una vita più ricca, la nostra tendenza a preoccuparci, semplicemente svanisce.


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Non ricordo quando la macchia marrone comparve sulla mia tibia destra, grosso modo a metà tra il ginocchio e la caviglia e leggermente di lato. Potrebbe essere successo a metà degli anni Settanta,ma devo confessare che non mi resi conto del suo affiorare. Quello che notai, ad un certo punto, era che stava là e poi, molto più tardi, che lentamente, si allargava, senza però cambiare nel suo aspetto. La scrutavo attentamente, per coglierne eventuali variazioni nel colore, nel tessuto o nello spessore, perché – lo avevo letto sugli opuscoli per la prevenzione del cancro – in quel caso poteva essere segno di pericolo. Ma la mia macchia marrone non cambiava, non aveva assolutamente nulla di simile ad una protuberanza o a una piaga.

Era solo una zona di pelle color cappuccino, normale e liscia, che si andava lentamente espandendo. Era quasi mezzanotte. La mia casa era così tranquilla da sembrare galleggiante e ancorata in qualche lago deserto da sogno, ero seduta all’interno di quel piacevole silenzio, cercando di raggiungere una qualsiasi conclusione. Sentii di trovarmi su di un bordo affilato, tra due alternative che si escludevano reciprocamente; stavo portando la mia malattia sia sulle spalle che dentro al corpo; e sapevo che avrei dovuto scendere, stando attenta a non tagliarmi i piedi.

Se il dottor Gerson aveva ragione, pensai, e avevo il sospetto che fosse così, se è davvero inutile rimuovere i tumori a meno che non siano pericolosi per la sopravvivenza del malato, allora la mia operazione è stata inutile, non era necessario tutto quel dolore, quella sofferenza e quelle mutilazioni e un ulteriore intervento sarebbe stato altrettanto insensato….

Se il cancro fosse davvero una malattia dell’intero metabolismo, allora guarirlo e ripristinarlo sarebbe l’unico modo per affrontare il problema. E, se il dottor Gerson avesse ragione, allora non ci sarebbestata altra soluzione per sopravvivere.

Era mia la decisione di vivere o morire e la mia mente doveva smettere di perdere tempo. Se muoio oggi, non avrò la mia ricompensa, tutta la vita sarà stata una lunga preparazione senza alcun esito, in altre parole un futile esercizio. Oddio, non ho ancora fatto nulla, ho solo parlato tantissimo dei miei piani, e questo non è sufficiente. Sarebbe ipocrita, come escludere il suicidio ma poi suicidarsi in borghese, cioè lentamente, per omissione.

Telefonai a Hudie e gli comunicai la mia decisione. «Inizio la terapia Gerson» dissi. «E andrò alla clinica Gerson in Messico, per imparare come si applica correttamente.»


Articolo tratto da:


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La redazione di Scienza e Conoscenza è composta da giornalisti e responsabili di collana che collaborano con autori e ricercatori esperti nei campi della Medicina Integrata, della Consapevolezza e della Fisica Quantistica.    Leggi la biografia

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