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Vi presento madame Curie


Emanuele Cangini - 01/01/2016

È sempre un onore, un piacere, scrivere un articolo, dedicare qualche riga a un personaggio di cultura.
Onore ancor più sentito in questo frangente, nel quale ho la possibilità di comporre una riflessione che celebri, come giusto che sia, una delle menti più illustri della scienza del Novecento.

Unica donna ad aver conseguito due premi Nobel in due aree scientifiche distinte, rispettivamente in fisica, nel 1903, e in chimica, nel 1911 (solo in quattro sono stati insigniti di due premi Nobel, solo in due ad averlo vinto in due materie diverse). Sto parlando di Maria Sklodowska (1867-1934), meglio nota come Marie Curie (cognome ereditato dal marito, Pierre Curie - 1859-1906), della quale non servono indubbiamente presentazioni. Laureatasi alla Sorbona in matematica e fisica (diventerà, dopo il decesso del marito nel 1906, la prima cattedratica donna proprio in seno a quella Sorbona nella quale si era laureata nel 1895), diede il via, nel 1897, alle sue ricerche nel campo della radioattività.

Dedicò la sua attività prevalentemente al settore relativo all’isolamento del polonio e del radio, notando assieme al marito, assistente di ricerca, che alcuni campioni di “pechblenda” (fonte primaria di uranio, minerale radioattivo proveniente da una provincia della Repubblica ceca) risultavano maggiormente radioattivi in relazione a un'ipotetica costituzione in purezza di solo uranio. 

28 marzo 1902, una scoperta rivoluzionaria: il radio ha un peso atomico
I coniugi Curie dedussero quindi che nei succitati campioni si potessero ipotizzare presenze di elementi estranei: riuscirono così, dopo un periodo prolungato di laboriose e certosine analisi, a isolare nel 1898 una esigua quantità di un nuovo elemento, il polonio (nome scelto in onore della terra natia della scienziata), di poco precedente alla scoperta di un altro elemento, il radio. Per determinare il peso atomico del radio, ne servirebbero solamente alcuni milligrammi purché in purezza: a tal fine, con instancabile devozione scientifica, Marie Curie lavorò continuamente senza esiti nel suo capannone adattato a laboratorio, trattando e “sezionando” in sacchi da 20 kg diverse tonnellate di pechblenda. Separando il bario dal radio, con instancabile metodicità, attraverso il processo della cristallizzazione frazionata (tipologia di cristallizzazione che avviene per varianza di un parametro fisico-chimico quale, concentrazione, pressione o temperatura), la mattina del 28 marzo 1902, annota sul suo quaderno di appunti la celeberrima dicitura:

RA= 225,93

Era stato determinato il peso atomico del radio, una scoperta che avrebbe condizionato irreversibilmente il panorama della comunità scientifica e non solo; le implicazioni di carattere terapeutico e industriale si riveleranno numerose e di notevole importanza.
Da quel preciso momento la radioattività diverrà un fenomeno reale, conosciuto e riproducibile. Il clamore destatosi attorno alla scoperta ebbe una eco formidabile, a tal punto da contagiare i salotti e le corti di tutta Europa, da Parigi a Vienna, da Berlino a Londra; il radio aveva ufficialmente potuto assurgere al ruolo di elemento a tutti gli effetti, e trovare perciò la propria precisa e legittima collocazione nella tavola degli elementi.

Impropriamente, forse un errore fortuito, il nome dei coniugi Curie in forza delle scoperte espletate, venne associato euforicamente alla cura e guarigione del cancro: come se non bastasse, ciarlatani patentati e annoiati, sostennero la presunta taumaturgica virtù del radio di porsi come assoluto guaritore. Nulla di più falso, nulla di più irrispettoso verso il rigore e la serietà che avevano contraddistinto i coniugi Curie nel loro modus operandi.

Il 19 aprile del 1906, Marie rimase vedova del marito, deceduto in conseguenza del fatale incidente parigino, in rue Dauphine, che lo vide travolto da cavalli trainanti una carrozza. La signora Curie, anche se vedova, saprà portare quel velo nero di lutto con la esemplare disinvoltura e con l'elegante onorabilità di chi sa indossare senza indugio i panni della sociale rispettabilità e della intima indipendenza.


Marie Curie e Oriana Fallaci: simboli dell’autentico femminismo
Marie, da sempre, era stata una donna emancipata, simbolo probabilmente di quell’indipendenza femminile che a soli trent’anni dalla sua morte avrebbe scosso le fondamenta di una società in preda a secolari cambiamenti.

Potenzialmente precorritrice di una cultura che non vedrà mai, la immagino come indispensabile premessa a quel fenomeno di affrancamento, di riscatto e, forse, di redenzione, chiamato femminismo.

Marie mi ricorda davvero tanto Oriana Fallaci (1929-2006): fiorentina di nascita e spirito inquieto, forte, mai domo; anima libera, critica severa, prima giornalista attiva “sul fronte” delle cause scottanti, sempre in “trincea”, capace di prese di posizione discutibili ma certo coraggiose. Marie Curie e Oriana Fallaci, quasi cinque anni esatti separavano la data di morte di una da quella di nascita dell’altra. Peccato che, per così poco, davvero per così poco, non abbiano incrociato i loro cammini… avrei voluto vederle sorseggiare un caffè sedute allo stesso tavolo; l’una con un taccuino denso di appunti, l’altra con quel sorriso assorto che da sempre ne aveva contraddistinto l’espressione.


Emanuele Cangini
Emanuele Cangini nasce a Modena, dove frequenta una scuola ai indirizzo tecnico e a seguire l'Università presso la facoltà di Ingegneria... Leggi la biografia
Emanuele Cangini nasce a Modena, dove frequenta una scuola ai indirizzo tecnico e a seguire l'Università presso la facoltà di Ingegneria Meccanica.È curatore e revisore di testi per Macro Edizioni, e per la rivista Scienza e Conoscenza nonchè giornalista divulgativo e critico letterario, relatore e conferenziere. Accanito lettore, da sempre... Leggi la biografia

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