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MATEMATICA che passione


Renato Palmieri - 01/01/2016

 


La matematica, oggi
Ho a casa, tra i miei libri più cari, una splendida edizione, in traduzione inglese, delle opere di quattro grandi matematici dell'antichità: Euclide, Archimede, Apollonio di Perga e Nicomaco di Gerasa. Dopo avervi letto alcune cose in anni passati, sentii la necessità di seguirne il percorso nell'interpretazione e nelle analisi consequenziali dei matematici moderni. Fu così che, nella stessa veste di profano rispetto a quei geni con la quale mi ero rivolto alla storia della fisica, scoprii che i matematici moderni avevano perpetrato un vero e proprio delitto di tradimento nei confronti di quella meraviglia del pensiero umano, approfittando di un'apparente debolezza di uno dei più famosi enunciati euclidei: il cosiddetto "quinto postulato" sulle parallele, che su un piano non s'incontrano.


 
Naturalmente, la geometria di Euclide - come qualsiasi geometria (ammesso che ne esista un'altra) - non può non fondarsi su un certo numero di concetti primitivi, che vengono affermati intuitivamente senza dimostrazione, proprio perché primitivi, e quel postulato ne è un esempio classico. Ciò non significa che Euclide potesse supporre che un giorno a qualcuno sarebbe venuto in mente di negarne la verità intuitiva e fattuale, per costruire castelli pieni di mostruosi "fantasmi matematici", alibi di altrettanto mostruosi "fantasmi fisici", come quelli che invito a visitare nella voce "Parallele" dell'Enciclopedia Italiana.



Il più terrificante è senza dubbio opera del famoso matematico Henri Poincaré: "(...) Immaginiamo un mondo tutto racchiuso entro una sfera (...). Tutti i corpi appartenenti al nostro mondo siano soggetti ad una stessa legge di dilatazione al variare della temperatura, cosicché questa si potrà misurare mediante la lunghezza di un corpo qualunque (...)". Il resto è assolutamente inimmaginabile e sembra davvero una condanna eccessiva per l'ingenuità del povero Euclide.



Ci si potrà fare un'idea ulteriore dei guasti causati nella fantasia dei matematici moderni dal rifiuto di quel postulato, leggendo il capitolo sulla "Geometria non euclidea" nella voce "Geometria" sempre dell'Enciclopedia Italiana. Il secondo fronte della battaglia per i diritti della conoscenza, dopo quello della fisica, si apre perciò sul terreno teoretico della matematica. Che è quello sul quale si è stabilita nell'età contemporanea un'alleanza perversa tra due distorsioni complementari, concorrenti in eguale proporzione ai danni dell'astrattezza matematica, da un lato, e della concretezza fisica, dall'altro.



Sebbene non ritengo si possa dare ragionevolmente - con una matematica seria - una geometria diversa da quella euclidea. Pertanto questo non è il trattato sistematico di una nuova geometria. Il mio proposito è solo quello di aggiungere ai fondamenti di Euclide un carattere che, dopo di lui, dovrà attendere Archimede per essere introdotto con chiarezza negli enti matematici: ovvero, l'argomento cinematico.



Si vedrà che questo è, in primo luogo, sufficiente per togliere ogni ragion d'essere ai citati "fantasmi matematici" e alla loro funzione di supporto per i loro fratelli fisici. Ma è anche indispensabile per ricavare certe inopinate conseguenze da una appropriata lettura dei grandi matematici dell'antichità.
Interporrò in corsivo, là dove sia opportuno, al testo dei principi geometrici veri e propri, numerati progressivamente, alcuni chiarimenti e puntualizzazioni.



Capitolo I: I "fondamenti"
Una geometria che si definisce "fondamentale" è tale se i suoi fondamenti sono caratteri assolutamente primitivi e inconfutabili della specie umana. Naturalmente sarà sempre possibile che quelli che enunceremo appaiano alla fantasia di qualcuno non primitivi né inconfutabili. Aggiungo, quindi, semplicemente che la geometria che trattiamo si rivolge solo a coloro che condividono tale qualità.


  • 1°) Il primo "fondamento" è la percezione, quanto alla sua origine sensoriale.
  • 2°) Il secondo "fondamento", l'astrazione (o idealizzazione), è prerogativa della mente umana: consiste nello spogliare idealmente da ogni concretezza una percezione, portandola a limiti assoluti.


Esempio di astrazione da percezione è il concetto di "punto", che nelle lingue classiche, come ancora in italiano, è l'idealizzazione di una sensazione di puntura, o del segno di essa (in greco, stigmé o semeion).



Capitolo II: Gli enti geometrici primi
Si rimanda alla voce citata dell'Enciclopedia Italiana per la storia dell'evoluzione della geometria nelle diverse epoche. Diamo qui solo un'idea del terreno insidioso sul quale ci si muove, ricordando che, tra i vari tentativi fatti da alcuni matematici per trasformare in teorema il V postulato di Euclide, si risolse in un insuccesso la ridefinizione di rette parallele da "rette che non s'incontrano" in "rette equidistanti". Girolamo Saccheri (Sei-Settecento) osservò che una linea che si definisca come luogo geometrico dei punti equidistanti da una retta data non è dimostrato che sia essa stessa una "retta".



La geometria fondamentale definisce gli enti geometrici primi come risultato dei due fondamenti (cap.I). Gli esempi di percezioni da cui vengono astratti possono essere vari, e quindi anche diversi da quelli che si danno appresso.


  • 3°) Il punto è l'astrazione di una percezione di puntura, o di un segno di penna estremamente piccolo.
  • Euclide definisce il punto come "ciò che non ha parti".
  • 4°) La linea è l'astrazione di un filo sgomitolato.
  • Euclide la definisce "una lunghezza senza larghezza".
  • 5°) La retta è l'astrazione d'un filo teso tra due paletti.
  • Per Euclide è "una linea che giace egualmente per i punti su di essa".
  • 6°) Una superficie è l'astrazione dell'esterno di un corpo.
  • Euclide la definisce "ciò che ha lunghezza e larghezza soltanto".
  • 7°) Un piano è l'idealizzazione della superficie di un tavolo.


L'esempio ci permette di chiarire la genesi degli enti geometrici: Una persona incolta costruisce un tavolo senza conoscere la teoria geometrica; solo dopo, acculturandosi, lo astrae fino al concetto di "piano".
Euclide dice che il piano è "una superficie che giace egualmente per le rette su di essa".

  • 8°) Un volume è l'astrazione dell'interno di un corpo.

 

Capitolo III: Gli enti "a priori": Spazio e Tempo
Uso l'insuperabile espressione kantiana come astrazione, essa stessa, di una percezione.

  • 9°) Lo spazio è idealizzazione della percezione degli intervalli tra i corpi.

 

  • 10°) Il tempo è idealizzazione della percezione del variare degli intervalli tra i corpi, ossia astrazione della percezione del movimento dei corpi.

Si introduce così nella geometria euclidea l'elemento "cinematico" che ritroveremo in Archimede. Restano impliciti i concetti di "misura", con unità convenzionali, dello spazio e del tempo e quello di "velocità".

 


Capitolo IV: Gli enti geometrici derivati e le "proprietà" geometriche
Nel ribadire che questo non è un trattato sistematico della teoria geometrica, ne tralascerò i dettagli (ad esempio, segmento come parte di una retta, semiretta, linea aperta, linea chiusa, ecc.), fermandomi solo sulle definizioni e sui "teoremi" più significativi che conseguono dai principi suesposti e dall'introduzione del movimento nella geometria.

  • 11°) Angolo piano è la parte di piano percorsa da una semiretta in rotazione intorno all'origine. Lati dell'angolo sono le posizioni di partenza e di arrivo della semiretta.

Euclide definisce l'angolo in maniera diversa. La definizione che se ne dà qui è funzionale al discorso che s'intende fare.
12°) Due angoli sono eguali tra loro, se percorsi in tempi eguali da una semiretta in rotazione uniforme.
L'angolo è il primo di molti enti geometrici (triangolo, quadrato, cerchio, ecc), che chiamo "derivati", perché si riconducono agli otto dei capitoli II e III e non richiedono volta per volta il riferimento ai due fondamenti (cap.I)

 

Diamo ora inizio a delle costruzioni geometriche necessarie a determinare le "proprietà" geometriche degli enti derivati, sulle quali si fondano i successivi "teoremi" della geometria fondamentale. Non userò figure disegnate dei procedimenti, invitando i lettori a tradurre graficamente per loro conto la descrizione che ne farò nel testo.


  • 13°) Siano dati su un piano una retta e un punto fuori di essa. Tracciamo idealmente da quel punto fino alla retta una serie continua di segmenti (come per rotazione di una semiretta), poniamo da sinistra verso destra, rilevandone la lunghezza decrescente fino ad un minimo, oltre il quale essa comincia a crescere. Chiameremo quel segmento minimo distanza del punto dalla retta.
  • 14°) Si osserva che il primo segmento (sempre da sinistra) divide il semipiano in due angoli, rispettivamente maggiore e minore. Procedendo verso destra, a misura che diminuisce la lunghezza del segmento, l'angolo di sinistra decresce, quello di destra aumenta. Quando quella lunghezza tocca il minimo (distanza del punto dalla retta), i due angoli diventano eguali; quindi il primo, continuando a diminuire, diventa minore del secondo, che continua a crescere.
  • Nella condizione geometrica del segmento che rappresenta la distanza del punto dalla retta, i due angoli eguali si dicono retti e il segmento si dice perpendicolare alla retta. Un angolo maggiore di un angolo retto è ottuso; se minore, acuto.
  • 15°) L'estremo del segmento perpendicolare che sta sulla retta si dice proiezione dell'altro sulla retta stessa.
  • 16°) TEOREMA: Per un punto fuori di una retta o in un punto della retta si può condurre una sola perpendicolare alla retta.
  • E' dimostrato dal fatto che, per i commi 13°-15°, un segmento perpendicolare alla retta per un punto fuori di essa o in un punto di essa è uno solo.


Capitolo V: Rette parallele

  • 17°) Diciamo parallela ad una retta data su un piano un'altra retta i cui punti sono tutti equidistanti dalla prima.
  • 18°) TEOREMA: Per un punto fuori di una retta passa una sola parallela, essendo già provato nella definizione che le due rette non s'incontrano ed essendo invece da dimostrare che quella definita "parallela" sia effettivamente una retta, come la retta data. (Vedi succitata critica del Saccheri, cap.II).
  • Si tracci un segmento perpendicolare a una retta e si delimiti su questa un segmento comprendente l'estremo del primo. Si muova sul piano il sistema solidale dei due segmenti, così che il segmento sulla retta segua la retta stessa. Ne deriva che qualsiasi punto del sistema solidale, ivi compreso l'altro estremo del segmento perpendicolare, disegnerà sul piano una retta come quella seguita dal secondo segmento. La linea disegnata da quell'estremo del primo segmento che non è sulla retta è dunque essa stessa una retta ed è parallela alla retta data, perché tutti i suoi punti sono da essa equidistanti. E' inoltre una sola, perché l'estremo del segmento perpendicolare è obbligato ad un solo percorso: quello vincolato al sistema solidale.


In questo modo, ovvero introducendo nella geometria euclidea l'aspetto cinematico, che sarà di Archimede, il V postulato di Euclide si è trasformato in un teorema.
 

La Quadratura del Cerchio: segue a "Principi di Geometria Fondamentale", capitoli I-V

Capitolo VI: La geometria del compasso
Quando i matematici  moderni parlano del compasso, in realtà non sanno come funziona, perché non ne hanno riconosciuto la vera descrizione data da Archimede nella prima delle sue definizioni nel trattato "Sulle spirali", che è la seguente ed è anche il nostro comma successivo:

  • 19°) Se una retta tracciata su un piano ruota con velocità uniforme intorno a un estremo, che rimane fisso, e torna continuamente alla posizione da cui è partita, e se, nello stesso tempo che la retta ruota, un punto si muove con velocità uniforme lungo la retta cominciando dall'estremo che rimane fisso, il punto descriverà una spirale nel piano.


Dal momento che i moderni, matematici o fisici che siano, non hanno occhi per vedere, non si sono accorti che il comunissimo loro compasso non ha solo un movimento di rotazione, ma ne ha anche un altro lineare di apertura. Se, invece di far solo ruotare lo strumento per tracciare dei cerchi, lo avessero usato con entrambi i movimenti a velocità uniforme, si sarebbero stupiti a "vedere" finalmente sul loro foglio da disegno - invece di un cerchio - la spirale, appunto, che chiamiamo "di Archimede", e che ha passo costante, perché il raggio è proporzionale all'angolo di rotazione. La punta esterna del compasso si muove precisamente lungo una retta nel movimento di apertura e questa retta ideale ruota con lo strumento, mentre questo continua ad aprirsi.

Abbiamo così trovato il giusto compasso per dimostrare il teorema del comma che segue, senza nulla di nostro (salvo le peculiarità del procedimento seguito), ma sulla base esclusiva delle scoperte matematiche del grande Archimede. Sarà perfettamente inutile tirare in ballo le conclusioni di Lindemann (1882) sulla trascendenza di pi greco, che riguardano i cerchi fatti col compasso dei "ciechi" e non la spirale di Archimede. Tuttavia quello del compasso non è il solo problema, come vedremo tra poco.


  • 20°) TEOREMA: Con l'uso del compasso, come descritto da Archimede, e di una squadra qualsiasi, è possibile "rettificare" una circonferenza di raggio dato e quindi, con procedimenti già noti, "quadrare" il cerchio.


Dopo avere stabilito che il compasso da usare non deve servire preliminarmente per fare cerchi ma per tracciare una spirale, si entra su un secondo terreno minato. E' vero, infatti, che Archimede dopo quella definizione dimostra coi teoremi 18, 19  e 20 che la sua spirale permette di rettificare la circonferenza (e, ovviamente, noi ci limitiamo qui a richiamare quei teoremi, già assolutamente dimostrati). Ed è altrettanto vero che i moderni, pur avendo equivocato sulla funzione del compasso, conoscono senz'altro la dimostrazione di Archimede, che i lettori troveranno citata e descritta nel fascicolo dedicato ad Archimede da "LE SCIENZE", nella serie "I grandi della scienza". Ma sussiste ancora una difficoltà che sembra insuperabile nella fase della costruzione geometrica, pur effettuato il tracciamento della spirale col compasso ridefinito: cioè quella di determinare la tangente - indispensabile per il procedimento - in un punto della spirale, il che Archimede fa solo teoricamente. Giustamente Pier Daniele Napolitani, autore del fascicolo ora citato, là dove dice: "Archimede determina la rettificazione della circonferenza", aggiunge: "o, meglio, riduce il problema della rettificazione a quello di tracciare la tangente alla spirale". Faccio allora presente che, per il procedimento particolare che ora descriverò, è sufficiente tracciare la tangente non in un punto dato della spirale, il che è impossibile con gli strumenti in causa, ma in uno non predeterminato, il che si può fare, come vedremo subito.

Si tracci col compasso, così come descritto da Archimede, una spirale con origine nel polo O. Dopo il primo giro e prima del termine del secondo ogni raggio della spirale sarà diviso in due segmenti: il minore all'interno, con estremo nel polo, e il maggiore all'esterno, con estremo sulla spirale. Il segmento maggiore è il "passo" costante della spirale. Si tracci una semiretta OH con origine nel polo, che attraversi la spirale tra il primo e il secondo giro. Si muova la squadra PQR lungo OH da H verso O fino al punto B di tangenza del cateto PQ con la spirale (Archimede,"Sulle spirali", teorema 13). Tracciato il raggio OB, si prolunghi la tangente PBQ fino al punto T di incontro con la sottotangente, ossia con la perpendicolare ad OB in O.

Sul raggio OB il segmento CB è il passo della spirale. Da C si conduca la parallela a BT fino all'incontro con la sottotangente in D. Dai teoremi 18, 19 e 20 di Archimede si dimostra che il segmento DT è la circonferenza rettificata di raggio OB.  Riportato quindi sulla sottotangente il segmento OV=DT, si tracci il segmento BV. Sulla semiretta OB sia dato il raggio a piacere di una circonferenza da rettificare: per esempio, ON. Condotta da N la parallela a BV fino all'incontro con la sottotangente in M, sarà OM il segmento che rettifica la circonferenza data, per evidente legge di proporzionalità. Con procedimenti già noti si passerà quindi a costruire prima il rettangolo OEFG equivalente al cerchio dato e poi il quadrato OXYZ di pari area.

Si è così realizzata la visione di Dante nell'ultimo canto della Divina Commedia, quando si paragona al "geomètra che tutto s'affige / per misurar lo cerchio, e non ritrova, / pensando, quel principio ond'elli indige". Dopo sette secoli, il principio è stato ritrovato.

 



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