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IL TRADIMENTO dell'INTIMITA'

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Michael Mendizza - 01/01/2016

Il mio primo incontro con William Vicary, uno psichiatra forense, al tempo capo dello USC Sex Offender Program ruotò intorno alla domanda: perché gli uomini picchiano le donne, violentano e molestano i bambini? Me ne andai con una pila di libri, testi classici sulla violenza maschile. Due anni dopo, tornai nell’ufficio del dr. Vicary. Egli mi spiegò che tutti, soprattutto i ragazzi, hanno bisogno di sperimentare un tipo di contatto sicuro e affettuoso. Nei casi di uomini che commettono violenze contro donne e bambini, con rare eccezioni, questo bisogno di un tocco confortante era stato negato, distorto o tradito da donne importanti nelle prime fasi della vita. Egli spiegò in che modo questo tradimento dell’intimità crea una scissione nella psiche in sviluppo. Il bisogno fondamentale di intimità veniva associato a sentimenti di rifiuto. Ogni volta che tale bisogno fondamentale di intimità resta inappagato, si crea la sensazione di essere rifiutati. Allorché la pubertà esplode, altrettanto fa la sensazione di essere rifiutati, e con essa la rabbia e il furore.

I ragazzi sono più sensibili a questo tradimento dell’intimità. Ashley Montagu ha dedicato un libro all’argomento, La naturale superiorità delle donne (Bompiani Editore). Le donne portano il futuro della specie. Biologicamente sono superiori, più resilienti, vivono più a lungo, sopportano meglio il dolore e le loro connessioni cerebrali sono più fitte. La natura ha più problemi con i ragazzi. La maggior parte degli aborti spontanei sono maschi, la mortalità infantile dei maschi è più elevata, i ragazzi hanno più problemi emotivi, l’autismo è più diffuso tra i maschi che tra le femmine, le ragazze crescono più velocemente ecc. Questa maggiore vulnerabilità è aggravata dalle credenze culturali, secondo le quali i ragazzi devono essere duri. Le bambine sono accudite. I bambini non piangono. La natura è impersonale. Per lei, i singoli spermatozoi e i maschi sono più sacrificabili delle femmine. Quando questo fondamentale bisogno di essere accuditi è negato, distorto o tradito nelle prime fasi della vita, l’effetto sulla psiche maschile è spesso profondo. E comprendere questa vulnerabilità dei maschi è un fattore importante della nostra ricerca sul come formare una generazione di giovani immuni dal senso di vergogna e sessualmente liberi e responsabili.

Sarò incatramato e coperto di piume per quanto mi accingo a dire, ma credo che sia vero. Se vogliamo prevenire l’aggressività e la violenza maschili contro le donne e i bambini, dobbiamo cominciare molto presto a impedire che questo tradimento dell’intimità inneschi una bomba a tempo biologica nei giovani. La prevenzione dello stupro e della violenza contro le donne e i bambini comincia prestissimo, codificando il cervello tramite esperienze sensuali che generino fiducia, tramite l’allattamento al seno, le sensazioni di essere desiderati, supportati, toccati e confortati con affetto, anziché essere puniti quando si verifica una rottura del vincolo. In una parola: occorre essere nutriti. Ciò si comunica innanzitutto fisicamente, quando, all’inizio della vita, il cervello in sviluppo getta le sue basi. Successive fasi di sviluppo nascono dalle fondamenta gettate precedentemente.

Spesso ci sfugge questo legame tra le fondamenta e il comportamento attuale. Mi viene in mente un aneddoto su Albert Einstein. Un giornalista gli chiese: «Siamo in una guerra fredda. Come possiamo produrre i migliori scienziati al mondo?». «Raccontategli favole come se fossero bambini», fu la risposta. «Mi scusi, ma non ha capito», disse il giornalista; «noi abbiamo davvero bisogno degli scienziati migliori in assoluto». «Allora raccontategli ancora più favole», rispose Einstein. Lo stesso è vero per la sessualità adulta. La pubertà sboccia nel terreno fisico-sensorio (somatosensorio) preparato anni prima. Preparate quel terreno allattando al seno per due o più anni (nutrizione inferiore a parte, le bottiglie di plastica rappresentano una deprivazione sensoriale, se paragonate al calore, il contatto, la vista, la fragranza, gli ormoni e il piacere condiviso al seno materno). L’esperienza dell’essere nutriti, tenuti, portati e giocosamente toccati costituisce l’architrave dei successivi incontri intimi.

Fu Harry Harlow a compiere i famosi esperimenti di deprivazione sensoriale, alla fine degli anni Cinquanta. Harlow separò alcune scimmie appena nate dalle madri e le fece crescere in gabbie isolate dove potevano vedere, sentire e annusare altre scimmie, senza però toccarle o essere da loro toccate. Poco dopo aver incontrato il dr. Vicary, mi imbattei nell’opera di James W. Prescott, PhD, uno scienziato del cervello specializzato nell’impatto che la deprivazione sensoriale ha sul cervello in sviluppo. Una delle patologie più sconcertanti studiate da Jim era l’incapacità delle scimmie femmina cresciute in isolamento a permettere il tocco, pulire il proprio pelo, accoppiarsi o accudire i figli. La mancanza di cure materne normali nell’infanzia, di contatto e di allattamento al seno, aveva impedito lo sviluppo di quelle caratteristiche sociali ed empatiche da cui sarebbero dipesi, successivamente, il comportamento sessuale e la capacità di dare attenzioni materne. Il cervello umano è molto più complesso di quello degli altri primati. Tuttavia, i sistemi cerebrali fisico, emotivo, sociale e sessuale sono molto simili. La mancanza di cure materne da neonate e da bambine ha notevoli conseguenze sul modo in cui le giovani madri di oggi si relazionano e accudiscono i propri figli.

Il cervello “vincolato” e quello “senza vincoli”
Molto è stato scritto sulle ragazze e le giovani donne “hooking up” [letteralmente: che accalappiano, NdT], un termine usato per descrivere la tendenza comune ad avere brevi relazioni sessuali, senza alcun attaccamento o vincolo emotivo. Se interrogate in merito, le ragazze dicono spesso di essere troppo occupate da questioni personali, come a esempio ottenere buoni voti, per pensare alle “relazioni”. A disturbare non è tanto lo stimolo sessuale che si trova in questa tendenza, quanto la mancanza di affetto, di empatia, di ciò che chiamiamo “legame”. Immaginate l’impatto che questa mancanza di connessione, attenzioni, affetto e vincoli empatici possono avere su un neonato.

Il piacere dà dipendenza, crea legami, e da questi piacevoli “legami” che danno assuefazione dipende la sopravvivenza della specie. Cosa succederebbe se eliminassimo o tradissimo la natura di legame superiore del piacere, mantenendo solo la dipendenza inferiore, sensorio-motoria-autocentrata? L’accoppiamento (legame di coppia), le cure materne e il nutrimento sparirebbero, lasciando solo la stimolazione sensorio-motoria. In che modo ciò determina lo sviluppo del cervello, e quindi il tipo di madri, padri, società e cultura che creiamo?

Quando spersonalizziamo la sessualità e la consideriamo parte di un sistema più grande, il ruolo che il piacere ha nei legami e nella conservazione della specie diventa più chiaro. Vediamo l’emergere di due cervelli, anche se non “in bianco e nero”: uno “vincolato”, l’altro no. Il cervello vincolato integra, cosa che si riflette in una corrispondente “immagine-di-sé con-il-mondo” basata sulla relazione, creata da questo cervello. Il cervello non vincolato integra meno. Esso tende a scollegare, frammentare e creare una “immagine-di-sé contro-il-mondo” difensiva e isolata.

È facile vedere come la sessualità nascente sembrerà e verrà vissuta in modo molto diverso, a seconda che il fiore della sensualità sbocci nell’uno o nell’altro di questi due cervelli. La chiave per sviluppare una società e un mondo nonviolenti, cooperativi, ugualitari, senza vergogna, sessualmente liberi e responsabili è nel preparare il terreno per una tale visione del sé-mondo molto presto, quando il cervello in sviluppo sta costruendo il quadro di comandi che userà per tutta la vita. Imporre giudizi morali, ricompense e punizioni durante e dopo la pubertà è uno scherzo. Il punto saliente non è come coprire o cancellare il profumo del fiore. Ciò che determina il modo in cui quel fiore viene sperimentato, compreso, espresso e condiviso sono il cervello più profondo e la struttura corporea, “vincolati” o “non vincolati”, dai quali quel fiore sta spuntando. Il nutrimento di questo cervello primordiale avviene essenzialmente tramite l’esperienza diretta fisica ed emozionale – tocco, movimento e gioco –non tramite istruzioni intellettuali, morali e religiose.

La sessualità è come un fiore che sboccia in un sistema sensorio che si è formato a partire dal concepimento. Il fiore è parte di un sistema più grande. Quella che riteniamo la nostra individualità è un riflesso di un sistema molto più vasto, la nostra memoria autobiografica e genetica (mamma, papà e l’ambiente-cultura intorno a loro; le loro mamme, i loro papà e l’ambiente-cultura intorno a loro, fino all’alba dei tempi e oltre). A ciò dobbiamo aggiungere le nostre esperienze di campi non materiali, non locali, onde di significati senza tempo che periodicamente passano sopra e attraverso noi, e che alcuni chiamano intuizioni, bagliori o anche ricordi di vite passate. Tutto questo costituisce lo sfondo o il contesto che conferisce senso a quanto avviene in primo piano, ovvero la nostra fioritura individuale. Grazie a tale prospettiva transpersonale scopriamo che non siamo individui isolati. Quest’ultima è un’immagine, un’illusione.

L’illusione è creata dal cervello. Da questo flusso sempre mutevole di influenze sullo sfondo, il nostro cervello estrae immagini fisse. Legate insieme come fotogrammi di un’animazione, esse sembrano formare, per noi e per gli altri, un individuo o un io autonomi. Lo stesso cervello proietta su questa immagine di sé caratteristiche immateriali e senza tempo che chiamiamo anima, ovvero, in realtà, un’altra immagine (il cervello può creare un’immagine dell’eternità, ma tale immagine in sé non è eterna). Le immagini che abbiamo di noi stessi come individui operano allo stesso modo. La nostra immagine di noi stessi è un costrutto mentale. L’illusione della continuità si genera allo stesso modo con cui la persistenza della visione anima i cartoni di Disney. L’immagine dell’io si crea come riflesso dell’esperienza dell’essere accettati o respinti nello specchio della relazione, personale e culturale.

Quando siamo davvero sereni, ci sentiamo protetti e al sicuro, non c’è nulla da giustificare o difendere. Ciò che è in primo piano si unisce a ciò che è sullo sfondo. In quel momento o stato non esistono immagini, frammenti nella consapevolezza, io indipendenti o altro. Consapevolezza, attenzione e intelligenza autentica si liberano dai paraocchi imposti dal condizionamento e dalle aspettative culturali. Krishnamurti ha definito questo stato una «consapevolezza priva di scelte», dove per scelta si intende una forma di condizionamento culturale che limita o vincola il movimento libero della vera intelligenza.

La responsabilità culturale e un’altra molto più profonda
Grazie a tale prospettiva più ampia, la vergogna e l’imbarazzo sono visti per ciò che sono: strumenti potenti usati per modificare, condizionare, limitare e controllare il comportamento individuale, al fine di adattarlo alle norme culturali. Da ciò vediamo l’emergere di due tipi di responsabilità, una culturale e l’altra molto più profonda, che oserei chiamare “intelligente”.

La maggior parte delle persone è responsabile culturalmente. Essere culturalmente responsabili significa essere persone che rispettano, appoggiano e si conformano alle norme del gruppo – sia questo la razza, la tribù, il villaggio, lo Stato, la nazione, la religione o la gang – che definiscono cosa è giusto e cosa sbagliato. Tutti si attengono alle stesse regole di inclusione, plasmando l’identità individuale su quella di gruppo. Io sono cattolico. Io sono Repubblicano. Io sono musulmano. In ognuna di tali percezioni di sé, l’«io» e il gruppo, o la cultura più grande, si fondono. Una sfida all’identità, le convinzioni o il comportamento del gruppo è vissuta come un’aggressione al più profondo senso dell’io. Uccidiamo chiunque si comporti in tale modo, e lo facciamo da secoli.

Esiste un’altra forma di responsabilità, molto più profonda della cultura. Spesso, in base a questo più profondo senso di responsabilità, la responsabilità culturale sembra una forma di irresponsabilità. Il Dalai Lama si riferiva a tale più profondo senso di responsabilità quando ha distinto la religione dalla spiritualità. Egli ha osservato che la religione è un artefatto culturale. La spiritualità è evolutiva.

C’è un importante distinzione da fare tra religione e spiritualità. Per me, la religione riguarda la fede in promesse di salvezza e implica, tra le altre cose, l’accettazione di una realtà metafisica o supernaturale, tra cui forse si possono annoverare le idee di paradiso o nirvana. Collegati a essa sono gli insegnamenti, i dogmi, i riti, le preghiere ecc. religiosi. La spiritualità invece, a mio avviso, riguarda quelle doti dello spirito umano come l’amore, la compassione, la pazienza, la tolleranza, il perdono, l’appagamento, il senso di responsabilità e di armonia, che portano felicità a se stessi e agli altri. Il rito e la preghiera, insieme a idee come il nirvana e la salvezza, sono direttamente connessi alla fede religiosa, mentre queste doti interiori non è necessario che lo siano. Non c’è quindi motivo per cui l’individuo non debba svilupparle, anche a un grado elevato, senza ricorrere a un credo religioso o metafisico. Ecco perché talvolta dico che la religione è qualcosa di cui forse possiamo fare a meno. Ciò di cui non possiamo fare a meno sono queste qualità spirituali di base. «Queste potrebbero sembrare affermazioni insolite, fatte da una figura religiosa. Tuttavia, prima di essere il Dalai Lama, io sono tibetano, e prima di essere tibetano, sono un essere umano. Quindi, mentre come Dalai Lama ho una responsabilità particolare verso i tibetani, e come monaco ho una responsabilità particolare verso lo sviluppo della concordia interreligiosa, come essere umano ho una responsabilità molto più grande verso l’intera famiglia umana; una responsabilità che in realtà abbiamo tutti.»

Quando allarghiamo la nostra identità in quanto individui culturali – che si tratti di una squadra, una gang, una nazione, una razza o religione – l’identità si espande, trascende i limiti e i vincoli imposti da queste categorie. Quando allarghiamo la nostra identità in quanto esseri umani, il nostro senso dell’io si espande a includere tutta la natura. Gli animali, gli alberi, il cielo e il mare diventano la nostra famiglia. Questo, io credo, è ciò che Krishnamurti intendeva quando disse: «Tu sei il mondo». E da questa prospettiva più profonda, essere responsabili sembra qualcosa di molto diverso dall’essere una brava ragazza o un buon Democratico.

Questo più profondo senso di responsabilità sorge spontaneamente quando ci liberiamo dal peso e i limiti imposti dal condizionamento culturale, e dalle false immagini che questo condizionamento implica. La vergogna e l’imbarazzo fanno parte del peso. L’essere privi di vergogna, liberi e responsabili, nella sessualità e in tutti gli altri campi della vita, comincia approfondendo ed espandendo la nostra identità fino a includere tutta la natura, che vuol dire ogni cosa, un solo canto, l’universo.

Comprendo che questo sembra romantico, idealista. Raramente nel mondo ossessivo e assorbito in se stesso sperimentiamo aperture nelle categorie limitate che abbiamo accettato su noi stessi e imponiamo agli altri, specialmente i nostri figli, quelle aperture a cui si riferisce Joseph Chilton Pearce nel suo primo libro, L’incrinatura dell’uovo cosmico (Edizioni Crisalide). Tuttavia, è solo guardando attraverso le incrinature che vediamo al di là del piccolo uovo che limita e definisce gran parte della nostra esperienza. La nostra sfida è scoprire una concezione transpersonale più profonda, e la corrispondente responsabilità, in noi stessi, modellandola per i nostri figli, mentre “tagliamo la legna e portiamo l’acqua”. In questa più profonda consapevolezza e percezione di una responsabilità priva di vergogna, il piacere sessuale prende il suo posto naturale, nel “Tao” della nostra vita.

 

Michel Mendizza è il fondatore di Touch the Fututure: www.ttfuture.org

Traduzione di Daniele Gagan Pietrini

 



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