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L'universo frattale

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Fausto Bersani Greggio - 01/01/2016

Perché la geometria viene spesso descritta come fredda e arida? Una ragione è l’inabilità di descrivere la forma di una nuvola o di una montagna, una linea costiera o un albero. Le nuvole non sono delle sfere, le montagne non sono dei coni, le linee costiere non sono dei cerchi, il sughero non è liscio ed i fulmini non si muovo lungo linee diritte.
- Benoît Mandelbrot -

La frase di Mandelbrot ben tratteggia l’inadeguatezza di alcuni strumenti della geometria classica nello studio di sistemi complessi che si trovano in natura. L’obiettivo di questo articolo è quello di fornire al lettore alcuni elementi di cosmologia contemporanea usando la geometria frattale come strumento di sintesi tra le osservazioni del satellite Planck e la scoperta del bosone di Higgs, tra la macrofisica e la microfisica.

La cosmologia
La cosmologia rappresenta il tentativo dell’uomo di studiare e costruire una teoria fisica in grado di spiegare fenomeni che avvengono nel cosmo su scale in cui le galassie, che appaiono poter essere frutto di una distribuzione casuale, si candidano a formare i costituenti elementari.
Queste vengono trattate come vere e proprie “particelle” di un “gas” che riempie l’Universo.
Il modello cosmologico più diffuso (modello standard) si basa su un assunto fondamentale, detto Principio Cosmologico, il quale afferma che l'Universo è omogeneo e isotropo, ossia sempre uguale su grande scala, da qualunque punto lo si osservi ed in qualunque direzione si decida di puntare un telescopio.
Il perfezionamento delle tecniche di osservazione, tuttavia, ha mostrato, nel corso degli anni, che le galassie si accorpano in ammassi, che a loro volta tendono ad unirsi per formare, ad un livello gerarchico superiore, superammassi. In tal modo si genera uno scenario in cui si evidenzia il susseguirsi di bolle di vuoto quasi assoluto sulle cui superfici si ramificano filamenti ricchi di galassie. Una sorta di struttura spugnosa, o a schiuma, se si preferisce, con grandi spazi vuoti, mentre nelle zone in cui due bolle vengono a contatto aumenta la presenza degli ammassi e dei superammassi.
In questo contesto si collocono alcune teorie che cercano di spiegare e descrivere la struttura su larga scala dell'Universo ricorrendo ai canoni dettati dalla geometria frattale.

I frattali
Cominciamo allora con il definire in modo semplice che cosa si intende per frattale.
Intanto partiamo con il ricordare che la parola deriva dal latino fractus che significa rotto o frammentato in quanto la dimensione di un frattale non è intera. La nozione di dimensione frazionaria è un atto di ”funambolismo intellettuale”, non c’è dubbio, d’altra parte in natura esistono molteplici esempi di strutture estremamente irregolari, ben lontane dalle usuali morfologie previste dalla geometria euclidea che individuano, ad esempio, situazioni di confine tra una linea ed una superficie con una dimensione compresa tra 1 e 2, oppure oggetti “quasi” tridimensionali in quanto presentano una dimensione geometrica di poco inferiore a 3: i rami degli alberi alberi, il profilo delle montagne, i litorali, le nubi, le arterie o i bronchi dei polmoni, la distribuzione delle galassie nell’Universo sono solo alcuni esempi di oggeti frattali.
Tutte queste forme, così diverse fra loro, sono caratterizzate da una proprietà comune: sono oggetti geometrici che si ripetono nella loro struttura allo stesso modo su scale diverse (invarianza di scala), ossia non cambiano aspetto anche se visti con una lente d'ingrandimento (autosomiglianza). Questa proprietà implica l'assenza di regolarità o analicità nell'intero sistema.
Per una struttura regolare, come ad esempio una curva, è sempre possibile definire, in maniera univoca, la tangente in ogni suo punto. Questo comporta che su scale sempre più piccole, la curva possa essere approssimata dalla sua tangente, perdendo ogni altra struttura.
Nel caso di un sistema frattale, andando su scale sempre più piccole, si può notare come la stessa struttura si ripeta mostrando tutta la complessità di quella originale. Pertanto la distribuzione non diventa mai, per così dire, liscia e regolare.
Questa proprietà implica una grande irregolarità che non è possibile descrivere mediante i tradizionali metodi matematici, lasciando molti fenomeni fisici ai margini della ricerca scientifica proprio per la mancanza di un formalismo matematico che permetta di studiarli accuratamente.
Solo recentemente, con l’avvento di potenti calcolatori dotati di sofisticati programmi di grafica, abbiamo assistito ad uno sviluppo della ricerca in tale settore.
Una misura del grado di irregolarità di questi oggetti è fornita proprio dalla loro dimensione frattale. Si tratta di un parametro numerico, in genere non intero, atto a fornire una descrizione del modo in cui l'oggetto riempie lo spazio in cui è contenuto.
Vi sono diverse definizioni di dimensione frattale e fra queste va senza dubbio segnalata quella di Hausdorff –Besicovitch (1918), probabilmente la più conosciuta ed importante, se non altro perchè si basa su metodi di misura relativamente facili da trattare.
Tale tecnica, nota anche come box counting fractal dimension, consiste essenzialmente nel sovrapporre all’immagine da studiare una griglia quadratica, con maglie dotate di un determinato passo, e nel contare il numero di maglie occupate dall’oggetto in funzione della dimensione delle maglie stesse. Tale numero, ovviamente, risulterà diverso a seconda dell’estensione delle celle. Riportando poi in un grafico il logaritmo del numero di celle occupate dalla figura geometrica in funzione del logaritmo della lunghezza del lato di una cella si ottiene una retta la cui pendenza fornisce la dimensione frattale dell’oggetto preso in esame.

L’Universo frattale
La possibilità che vi sia una distribuzione frattale nell'Universo, almeno entro certe scale, è un fatto estremamente rilevante per la cosmologia moderna.
Per capirne brevemente le implicazioni basti pensare che se consideriamo un volume sferico di raggio R centrato in una galassia scelta a caso, la massa contenuta in esso, per una distribuzione omogenea di materia, ossia caratterizzata da una densità costante, cresce col cubo della dimensione lineare:

M ∝ R^3

Invece per i frattali, dato che si hanno molti vuoti nel volume che li contiene, la massa diventa proporzionale ad una certa potenza D del raggio R , detta per l’appunto “dimensione frattale” (1),

M ∝ R^D

per la quale, in genere, risulta D < 3.
Sorprendentemente (2) i risultati delle osservazioni sulla distribuzione delle galassie (con R < 20 Mpc) (3) e sugli ammassi di galassie (con R< 100 Mpc), indicano una medesima dimensione frattale D ≅ 1,2.
È evidente che assume un carattere primario capire i meccanismi che possono aver generato una tale struttura dell'Universo.
È bene osservare che nell'ambito della “cosmologia frattale" si fa riferimento alla materia visibile luminosa, questo tuttavia non esclude che la materia oscura possa seguire lo stesso andamento giungendo ad interessanti conclusioni nel confronto con la cosmologia osservativa.
Le implicazioni sono in un certo senso rivoluzionarie: intanto dovremmo abbracciare un Principio Cosmologico Condizionale (4) secondo cui ogni osservatore occupa un punto materiale della struttura.
Il termine “condizionale" si riferisce alla condizione che ogni osservatore è situato su una galassia la quale occupa sempre un elemento della struttura, ossia un punto del frattale. In altri termini non esistono potenziali osservatori in una regione di vuoto.
Sotto queste condizioni, sembra venir meno la proprietà di omogeneità del modello cosmologico standard definita rispetto ad un qualsiasi punto geometrico dello spazio, a favore di un’idea antropica di un Universo “observer omogeneus”, ossia omogeneo solo rispetto ad un potenziale osservatore. La stessa ipotesi di isotropia locale, applicata ad ogni punto del frattale, pare confermata da molti dati sperimentali
Il cosiddetto Principio Cosmologico Condizionale rappresenta una sorta di principio più debole rispetto al Principio Cosmologico standard. In base ad esso solamente gli osservatori solidali con la struttura in considerazione risultano equivalenti.
È peraltro verosimile, a fronte delle osservazioni, che via una scala oltre la quale l'Universo diventi omogeneo nel senso “classico” del Principio Cosmologico standard.
Possiamo pertanto sintetizzare il tutto dicendo che su scale relativamente piccole la distribuzione della materia è frattale, mentre su scale dell’ordine di alcune centinaia di Mpc, essa diventa uniforme.

I dati del satellite Planck
Quanto premesso ritengo si agganci in modo estremamente significativo con alcune considerazioni che ho potuto condurre a seguito dei risultati pubblicati a Marzo di quest’anno dall’Agenzia Spaziale Europea la quale ha diramato un’immagine che ha fatto il giro del mondo. Questa consiste nella più accurata mappa mai ottenuta dell’Universo neonato (v. fig.1), risultato di 15 mesi di acquisizione dati da parte del telescopio spaziale Planck, concepito nel lontano 1992 e lanciato quattro anni fa in un’orbita a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra.
Planck è una sorta di macchina del tempo. I suoi strumenti catturano la più antica luce dell’Universo, luce che riceviamo nella banda delle microonde dopo che ha viaggiato nello spazio per quasi 14 miliardi di anni restitutendoci un’istantanea di come si presentava il cosmo all’inizio della sua storia.



fig.1


Vale la pena di soffermarsi sul fatto che in ogni caso non saremo mai in grado di vedere l’evento del Big Bang, indipendentemente dalla precisione degli apparati sperimentali. Infatti fino a temperature di qualche migliaio di Kelvin la materia è solida o liquida o gassosa, così come la conosciamo sulla Terra, ma quando la si riscalda in modo opportuno si comincia a produrre il quarto stato della materia, il cosiddetto plasma atomico: le continue e violente collisioni tra gli atomi strappano alcuni elettroni dai nuclei intorno ai quali normalmente orbitano.
Aumentare la temperatura significa aumentare proporzionalmente l’energia cinetica grazie alla quale gli atomi della materia si urtano continuamente con un moto disordinato, noto come agitazione termica.
A temperature dell’ordine di 10^4 °K gli urti fanno distaccare gli elettroni degli atomi più leggeri, come l’idrogeno e l’elio; per strappare gli elettroni che ruotano vicino ai nuclei di atomi pesanti come il ferro, bisogna invece superare temperature dell’ordine di 10^6 °K.
Queste cariche elettriche assorbono immediatamente i fotoni che sono continuamente emessi dagli atomi e dagli ioni stessi: un plasma atomico è quindi opaco alla luce, proprio come una lastra di materiale metallico. Il ferro, ad esempio, è opaco alla luce in quanto due dei 26 elettroni di ogni suo atomo si muovono liberamente nel metallo e quindi “divorano” immediatamente ogni fotone che vi penetra.
Risalendo a 380 mila anni dopo il Big Bang la temperatura era di circa 3 mila gradi e l’Universo era simile ad un miscuglio di protoni, elettroni e fotoni che interagivano fra loro. Mano a mano che procedeva l’espansione, tuttavia, la temperatura dell’Universo diminuiva, ed i fotoni non avevano più energia sufficiente a impedire la formazione degli atomi più semplici. Così, quando i protoni e gli elettroni si unirono a formare atomi di idrogeno, i fotoni primordiali riuscirono, per la prima volta, a propagarsi liberamente e l’Universo, che fino a quel momento era risultato opaco, diventò "trasparente" alla radiazione. Queste onde luminose, che rappresentano la prima luce del cosmo, permeano da allora tutto l’Universo e, trascinate dalla sua espansione, che in un certo senso le ha “stirate”, oggi sono arrivate ad avere lunghezze d’onda millimetriche, nella banda delle microonde, ed una temperatura media di circa 2,7 Kelvin. Il telescopio spaziale Planck ha setacciato il cielo intero a 360 gradi nello spettro di frequenza che va da 30 a 857 GHz elaborando un vero e proprio planisfero cosmico risalente a 380 mila anni dal Big Bang. A tal fine sono stati identificati ed eliminati tutti i contributi della radiazione a microonde prodotti dalle attuali sorgenti cosmiche. In altri termini, per raggiungere la vera radiazione di "fondo" primordiale del cosmo, è stato necessario rimuovere tutta la radiazione sovrastante.
Negli anni ’60, ai tempi di Penzias e Wilson, la radiazione fossile sembrava fotografata con una macchina digitale con poche migliaia di pixel e tutto risultava uniforme, ma adesso è come se usassimo le moderne macchine digitali con decine di milioni di pixel. Grazie al satellite Planck possiamo vedere i dettagli delle impronte dell’Universo primordiale: guardando la mappa emergono minuscole disomogeneità che corrispondono in realtà a piccolissime fluttuazioni di temperatura, minori di una parte su 10.000, e sono il riflesso delle fluttuazioni di temperatura e densità dell'Universo primordiale. In estrema sintesi le parti blu sono le parti più fredde, le parti rosse quelle più calde.
Il vantaggio di Planck, rispetto ad analoghi esperimenti precedenti, è rappresentato dalla sua elevatissima sensibilità: può infatti misurare fluttuazioni di qualche milionesimo di grado di temperatura con una risoluzione angolare migliore di un decimo di grado.
La misura delle fluttuazioni di temperatura dell’Universo primordiale fornisce informazioni preziosissime sui modelli di formazione delle strutture cosmiche.
Se l’Universo fosse perfettamente omogeneo ed isotropo, noi non saremmo qui a raccontarcelo.
Su piccola scala, l’Universo mostra grandi disomogeneità, che diventano sempre più piccole mano mano che la scala si allarga, fino a giungere, sulle grandissime scale, ad una condizione di omogeneità in accordo con il Principio Cosmologico standard.
Queste perturbazioni inducono fluttuazioni nella materia che successivamente possono crescere per instabilità gravitazionale fino a formare le strutture cosmiche a noi note.
Il meccanismo, concettualmente, in realtà è abbastanza semplice: queste fluttuazioni sono in grado di collassare quando la loro autogravità supera la forza di pressione dovuta alla propria agitazione termica.
Quindi è esattamente laddove l’energia cinetica della materia risulta minore, ossia in corrispondenza delle zone più fredde, che si celano i semi originari di tutte le strutture complesse oggi osservabili, dalle stelle agli ammassi di galassie.

Emergono frattali dalla mappa di Planck
A questo punto, dopo aver preso in esame la mappa di Planck, alla miglior risoluzione possibile, si può notare come, facendo un ingrandimento di un piccolo settore angolare della fig.1, emergano strutture analoghe a quelle riportate in fig.2 nelle quali è facile distinguere pixel di vario colore che virano dal rosso al blu.


 
fig.2


Sulla base di quanto abbiamo detto è allora chiaro che le zone nelle quali si ha la massima probabilità di formazione di strutture autogravitanti sono quelle più fredde, ossia quelle di colore blu con tonalità più scura.
Sfruttando questa ipotesi ho provveduto a suddividere la mappa di Planck in settori aventi un’apertura angolare di pochi gradi dei quali ho calcolato la dimensione frattale con il metodo del box – counting descritto in precedenza. Da questo studio è emerso che la dimensione frattale media, compresa di errore statistico, è pari a

D = (1,20 ± 0,08)

un risultato estremamente incoraggiante per diversi motivi. Innanzi tutto risulta assolutamente in linea con le osservazioni che, come abbiamo visto, prevedono, per la distribuzione delle galassie e dei relativi ammassi, una dimensione frattale proprio pari a 1,2.
Tale risultato rafforza quindi l’idea che le perturbazioni analizzate siano state quelle che hanno effettivamente generato l’attuale struttura frattale dell’Universo anche se è bene precisare che ci troviamo di fronte ad una vera e propria ragnatela cosmica multi frattale; infatti 1,2 risulta essere la dimensione frattale media ottenuta per la distribuzione delle perturbazioni analizzate nella mappa di Planck con valori che oscillano attorno al dato centrale.
Altro aspetto significativo è il fatto che il livello di confidenza del risultato ottenuto è pari al 99,7% ossia, immaginando di effettuare un nuovo campionamento, si riscontrerebbe una probabilità del 99,7% di trovare una dimensione frattale media all’interno della forbice avente come estremi 1,12 ed 1,28 ossia i valori che si ottengono aggiungendo e togliendo l’errore statistico 0,08 al valore medio. Pertanto possiamo affermare che il risultato ottenuto si presenta con un altissimo livello di riproducibilità.
Infine, entrando in un settore un po’ più specialistico, ho potuto confermare che la distribuzione statistica di queste fluttuazioni, favorevoli alla formazione di aggregati auto gravitanti, segue con grande precisione una statistica gaussiana, una conferma estremamente stringente dell’esistenza dell’inflazione iniziale, una fase caratterizzata da una violentissima espansione spiegabile proprio grazie all’azione del bosone di Higgs, la particella che ha fruttato pochi giorni fa il premio Nobel per la Fisica a Peter Higgs e Francois Englert.
Il bosone identificato al CERN, ebbe un ruolo fondamentale nel conferire una massa a tutte le particelle elementari del modello standard scatenando contestulamente anche l’era dell’inflazione.
Per contro esistono anche alcune anomalie emerse dai dati di Planck rispetto alla cosmologia standard che, per ragioni di spazio, non tratterò in questo articolo e che comunque sono ben documentate nelle varie recensioni e pubblicazioni relative al telescopio dell’Agenzia Spaziale Europea. Qui mi limiterò a sottolineare solamente che il risultato che ho presentato tratteggia un modello di Universo frattale coerente con le attuali conoscenze le quali si collocano nell’intersezione tra la cosmologia e la fisica fondamentale. Tuttavia esistono domande ancora aperte che potranno avere una risposta solo in un futuro non immediato.
Secondo molti l’entità delle anomalie riscontrate non è tale da mettere in discussione il modello cosmologico standard, ma suggerisce piuttosto la presenza di possibili nuovi effetti fisici. Saranno dunque necessarie nuove misure strumentali, anche se qualcosa di più potrebbe emergere già dall’analisi dei dati di polarizzazione della radiazione fornita da Planck. L'analisi è certamente molto complessa ed è ancora in corso. Ci vorrà almeno un altro anno per estrarre il piccolissimo segnale polarizzato, ma certamente la sfida è di quelle che appassionano non solo gli esperti.

Note
(1) Introduzione alla Cosmologia, Lucchin F. – Ed. Zanichelli, 1990
(2) Gravitazione e spazio – tempo, Ohanian H. C., Ruffini R., Ed Zanichelli, 1997.
(3) Mpc equivale ad un Megaparsec, ossia un milione di parsec. Il parsec è unità astronomica di distanza equivalente a 3,26 anni luce (1 anno luce = distanza coperta dalla luce in un anno, ossia 9,46x10^15 metri).
(4) Modello frattale dell’Universo ed Energia Oscura, Tedesco L., Cagnetta F. M., Univ. Studi di Bari – A.A. 2011–2012
(5) The Fractal Structure of The Universe, P.H. Coleman, L. Pietronero,. Physics Reports 213, 311, 1992.



Fausto Bersani Greggio
Laureato in Fisica presso l’Università degli Studi di Bologna con una tesi sulla quantizzazione del campo gravitazionale.Associato all'I.N.F.N.... Leggi la biografia
Laureato in Fisica presso l’Università degli Studi di Bologna con una tesi sulla quantizzazione del campo gravitazionale.Associato all'I.N.F.N. (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) dal 1995 al 2007 per collaborazioni ai progetti di ricerca degli esperimenti L.V.D. (Large Volume Detector) e O.P.E.R.A. (Oscillation Project with... Leggi la biografia

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