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Margherita Hack: “e le stelle stanno a guardare…”

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Emanuele Cangini - 01/01/2016

Avrei voluto esserci anch’io quel giorno: avrei voluto anch’io presenziare all’Auditorium della Gran Guardia di Verona, il 20 gennaio del 2010. Un avvenimento atteso, a tal punto da richiedere una diretta televisiva di tutto punto, pronta a immortalare in vis-à-vis monsignor Zenti, 140° vescovo della diocesi di Verona, e Margherita Hack (1922-2013) la famosa, carismatica, istrionica astrofisica e divulgatrice fiorentina. Quello che molti temevano potesse essere un incontro a serio rischio polemico, causa divergenze concettuali e ideologiche notevoli, si rivelerà una chiacchierata di squisita cortesia, condita da ironiche frecciate di educata ironia. Sì, se esempio migliore di dialogo tra scienza e fede cattolica poteva esserci, era stato servito davvero su un piatto d’argento.


La prima donna italiana direttrice di un Osservatorio astronomico
Margherita Hack, famosa per le sue posizioni votate a favore di un ateismo intransigente, è stata direttrice del Dipartimento di Astronomia dell’Università di Trieste nella parentesi che va dal 1985 al 1991 e, successivamente, dal 1994 al 1997; ha avuto anche il merito di essere la prima donna italiana in assoluto a dirigere l’Osservatorio astronomico di Trieste, dal 1964 al 1987.
Animalista e vegetariana, autrice di numerosi testi divulgativi alternati a opere più impegnative rivolte alle nicchie accademiche, ha contribuito fortemente allo sviluppo e avanzamento delle conoscenze nel settore astronomico. Trattò, addirittura in sede di discussione di tesi, il tema delle Cefeidi (nome di un gruppo di stelle variabili, derivante dalla prima stella appartenente a questa tipologia a essere scoperta, Delta Cephei, appunto), argomento certo non nuovo poiché già conosciuto secoli addietro, ma che seppe approfondire con la scoperta della stretta relazione intercorrente tra periodo di variabilità e splendore caratteristico.
Preziosa, per non dire decisiva, la sua esplorazione dell’universo mediante l’utilizzo di raggi ultravioletti; percorso che iniziò analizzando lo spettro di emissione di una stella, Epsilon Aurigae, supergigante avente magnitudine 3 e sita a una distanza indicativa di 6.600 anni luce.


Le stelle viste agli “ultravioletti”
Attraverso lo studio della banda di emissione della luce della stella “osservata” in ultravioletto, l’astronoma fiorentina concluse che Epsilon Aurigae altro non era se non un sistema di tre stelle molto calde e molto “vicine”, circondato da una nebulosa di tipo proto-planetario. Stupisce davvero che tale scoperta risalga all’anno 1957, ben diversi decenni prima dell’utilizzo in larga diffusione di satelliti osservativi; i modelli descrittivi della Hack troveranno successiva conferma, grazie all’utilizzo del satellite denominato International Ultraviolet Explorer (IUE), a dimostrazione che il radicato convincimento della scienziata, secondo il quale l’universo poteva essere visto, studiato, ammirato e contemplato secondo diverse modalità, trovava perfetto accoglimento. Secondo la Hack, l’osservazione dell’universo agli ultravioletti rappresentava una meravigliosa possibilità di “guardare” fenomeni che, altrimenti, sarebbero risultati assolutamente invisibili.
Famoso un suo commento, che risuonò come una eco in diversi atenei, in riferimento al fenomeno delle pulsar (stelle emittenti pulsazioni luminose rapide e intermittenti): «Ma fu scandaloso che a prendere il Nobel nel 1974 sia stato Antony Hewish e non la sua allieva Jocelyn Bell, che le aveva identificate e studiate per prima». Commento espresso con quella sua solita ironia che sapeva contraddistinguerla, ma certo non esente da un pizzico di polemica amarezza, suscitata dal vedere privata della legittima popolarità e delle legittime onorificenze, una collega che tanto si era adoperata e prodigata nello studio di quel settore. Tante sono le massime che ci ha regalato la scienziata, tante a tal punto da rendere difficile e complessa una scelta che, per contro, dovrebbe essere semplice e immediata. Una mi è rimasta impressa in particolar modo, una la cui paternità è da attribuire a un famoso filosofo della Grecia antica: «Il male, dunque, che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei, quando c’è lei non ci siamo noi», sanciva Epicuro, dall’alto della sua corroborante riflessione. Parole che la Hack ha saputo ricordare e riproporre non solo come modello rappresentativo di una passiva dotta citazione, ma nutrendole e vivificandole di quella linfa vitale conferita dalla reale adesione al suo sistema di credenze; quelle parole, antiche di millenni, eppure sempre attualissime, davvero rispecchiavano l’intimo atteggiamento della Hack in relazione a tematiche delicate e complesse quali quella della morte.


Una vita per la divulgazione
Ma Margherita non è solo questo. La sua “missione” è concepibile in più ampio quadro non solo didattico-divulgativo, bensì, ancor più, educativo e socio-pedagogico: voler rivolgersi ai giovani, voler sensibilizzare quel giovane pubblico verso una maggior attenzione alla ricerca scientifica, era un chiaro proposito, ravvisabile nei suoi accorati appelli. Appelli che giungevano dalle numerose trasmissioni televisive alle quali era solita partecipare.
La sua abilità nel rendere semplici concetti difficili nel campo della fisica degli astri, ha certo agevolato quel processo di avvicinamento alla scienza da parte del pubblico, anche quello più restio; processo da lei tanto voluto quanto auspicato. Facendoci innamorare delle stelle, facendoci innamorare di tutti i misteri dell’universo, ha saputo renderci più intimi e, forse, meno ignoti, un mondo e un modo, magari come quello con gli ultravioletti, di vedere le cose; e, chissà, averci aiutato pure nell’essere un briciolo più umili.
Margherita si spegne il 29 giugno 2013, verso le 4:30 del mattino, presso l’ospedale Cattinara di Trieste: una insufficienza cardiaca la costringe ad andarsene, la costringe ad abbandonare quella vita che aveva saputo assaporare con entusiasmo e con passione. Muore poco prima del marito, Aldo De Rosa, che spirerà di lì a poco più di un anno. Non so se Margherita avrà incontrato quel Dio da lei disconosciuto, ma di una cosa sono sicuro: se dovesse essersi sbagliata avrà saputo strapparGli un sorriso, rompendo il ghiaccio con una delle sue tante frasi goliardiche, pronunciate in quel toscano stretto che a noi piaceva così tanto.


Emanuele Cangini
Emanuele Cangini nasce a Modena, dove frequenta una scuola ai indirizzo tecnico e a seguire l'Università presso la facoltà di Ingegneria... Leggi la biografia
Emanuele Cangini nasce a Modena, dove frequenta una scuola ai indirizzo tecnico e a seguire l'Università presso la facoltà di Ingegneria Meccanica.È curatore e revisore di testi per Macro Edizioni, e per la rivista Scienza e Conoscenza nonchè giornalista divulgativo e critico letterario, relatore e conferenziere. Accanito lettore, da sempre... Leggi la biografia

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