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La scuola di Copenaghen la meccanica quantistica e le intuizioni mistiche dei padri fondatori

Scienza e Fisica Quantistica

La scuola di Copenaghen la meccanica quantistica e le intuizioni mistiche dei padri fondatori

Scienza e Fisica Quantistica

La scuola di Copenaghen la meccanica quantistica e le intuizioni mistiche dei padri fondatori


Varutti Guerrino - 12/06/2025

Copenaghen, anni '20: la rivoluzione invisibile

Nel cuore di Copenaghen, in un edificio sobrio ma ricco di fermento intellettuale, prese forma una delle più importanti rivoluzioni scientifiche della storia: la nascita della meccanica quantistica. Era il 1921 quando Niels Bohr, già premio Nobel per il suo modello atomico, fondò quello che sarebbe diventato il celebre Istituto di Fisica Teorica dell’Università di Copenaghen, oggi conosciuto come Istituto Niels Bohr.

Più che un semplice centro di ricerca, l'Istituto si trasformò in un crocevia di idee, una fucina dove giovani e brillanti fisici di tutto il mondo si riunivano per confrontarsi, discutere, scontrarsi e collaborare. Nasceva così la cosiddetta Scuola di Copenaghen, che non fu una scuola in senso accademico tradizionale, bensì un movimento di pensiero e un metodo di interpretazione della realtà quantistica.

I protagonisti di una rivoluzione

Tra le mura dell’Istituto si sono incrociate alcune delle menti più geniali del XX secolo. Werner Heisenberg, giovanissimo, sviluppò qui nel 1925 la meccanica matriciale, uno dei primi formalismi coerenti della meccanica quantistica. L’anno successivo, fu proprio Bohr a integrare questa nuova visione nella sua più ampia idea di complementarità.

Accanto a Heisenberg e Bohr, passarono da Copenaghen anche Wolfgang Pauli, Paul Dirac, Pascual Jordan, Max Born, Léon Rosenfeld, George Gamow e John Archibald Wheeler. Un ambiente così denso di intelligenze e intuizioni da essere paragonato all’Atene di Socrate, o alla Firenze di Galileo.

Un laboratorio di libertà e intuizione

Ciò che rese l’Istituto Bohr davvero unico non furono solo le menti che lo frequentarono, ma lo spirito stesso dell’ambiente che Bohr volle creare. Egli credeva fermamente che le grandi scoperte non potessero nascere in contesti rigidi o gerarchici, ma solo in un’atmosfera libera, aperta, familiare e collaborativa. I giovani fisici non erano considerati semplici studenti, ma membri paritari di un gruppo unito dal desiderio di esplorare l’ignoto.

L'Istituto diventò così un luogo dove le intuizioni geniali potevano germogliare spontaneamente, senza il peso di strutture accademiche soffocanti o formalismi imposti. Le discussioni si prolungavano per ore, spesso anche durante passeggiate, pranzi condivisi o momenti informali. Bohr era convinto che il pensiero creativo si alimentasse proprio di questa libertà, e i risultati gli diedero ragione.

Questa impostazione anticonvenzionale trasformò Copenaghen in un modello per la ricerca scientifica: un luogo dove l’errore non era un fallimento, ma un passaggio necessario verso la comprensione; dove la diversità di pensiero era incoraggiata, non temuta; dove anche il più giovane poteva sorprendere il maestro con una nuova idea. Era, in un certo senso, una comunità di ricerca che anticipava lo spirito del laboratorio moderno.

La nascita dell'interpretazione di Copenaghen

Il contributo più celebre della Scuola di Copenaghen è senza dubbio l’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica. Proposta da Bohr e Heisenberg, sostiene che non si possa separare l’osservatore dall’osservato: in meccanica quantistica, la realtà non è indipendente dall’atto di misurarla. I fenomeni quantistici, come la sovrapposizione degli stati o il principio di indeterminazione, non sono paradossi da risolvere, ma caratteristiche intrinseche della natura.

Questa visione suscitò dibattiti intensi, primo fra tutti quello con Albert Einstein, che pur rispettando Bohr non accettò mai fino in fondo l’idea di un universo governato dal caso. Celebri restano le loro discussioni nei congressi Solvay, veri e propri scontri filosofici sulla natura della realtà.

Scienza e saggezza antica: il legame con le filosofie orientali

Curiosamente, molti dei concetti fondamentali della fisica quantistica sembrano risuonare con le antiche tradizioni filosofiche dell'Oriente. Alcuni fisici quantistici tra cui lo stesso Bohr, ma anche Fritjof Capra, autore del celebre Il Tao della fisica, notarono che i principi di complementarità, interconnessione e non-dualità che emergono dalla meccanica quantistica ricordano profondamente le idee espresse in filosofie come il Taoismo, il Buddhismo Zen e l’Advaita Vedanta.

Il simbolo stesso scelto da Bohr per il suo stemma nobiliare, il taijitu, meglio noto come lo Yin e Yang, rappresenta questa visione duale ma unitaria della realtà: due opposti che coesistono, si completano, e non possono esistere l’uno senza l’altro. Un’immagine perfetta per la complementarità tra particella e onda, o tra osservatore e osservato. Non si tratta, naturalmente, di una derivazione diretta, ma di una convergenza simbolica: mentre la scienza si basava sul metodo sperimentale e matematico, le filosofie orientali avevano raggiunto intuizioni simili attraverso l’esperienza interiore e la meditazione. In entrambi i casi, si arrivava alla stessa sorprendente conclusione: la realtà non è fatta di oggetti separati, ma di relazioni, processi e connessioni invisibili.

Un’eredità che vive ancora

L’edificio originario dell’Istituto Bohr è oggi un luogo simbolico della scienza, visitato da studiosi e appassionati da tutto il mondo. Ma l’eredità della Scuola di Copenaghen va ben oltre le mura di quel palazzo: vive in ogni laboratorio che oggi indaga la struttura più profonda della materia, in ogni esperimento di fisica quantistica, nei computer quantistici che iniziano a diventare realtà.

In un tempo in cui la scienza si faceva con carta, penna e intuizione, Bohr e i suoi collaboratori dimostrarono che anche l’invisibile può essere compreso, se si ha il coraggio di immaginarlo e forse anche di ascoltare i sussurri di saggezze molto più antiche.


Varutti Guerrino
Laureato in Scienze Politiche e in Filosofia applicata, ex dirigente enti pubblici, attratto da sempre dell’infinitamente piccolo (il microcosmo)... Leggi la biografia
Laureato in Scienze Politiche e in Filosofia applicata, ex dirigente enti pubblici, attratto da sempre dell’infinitamente piccolo (il microcosmo) e dell’infinitamente grande (macrocosmo), appassionato e assiduo lettore della rivista Scienza & Conoscenza che condivide i progetti e gli obiettivi di Macro Edizioni. Leggi la biografia

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