Overthinking: il nemico invisibile del cervello moderno (e come fermarlo)
Neuroscienze e Cervello

Neuroscienze e Cervello

Quando la mente corre più veloce della vita, come ritrovare il silenzio interiore e vivere meglio? Parliamo di quella che sembra essere una vera e propria malattia moderna: l’ovethinking.
Francesca Lanza - 04/08/2025
Quando la mente non si spegne mai
Capita a tutti. Ti siedi sul divano dopo una giornata intensa, finalmente un po’ di quiete… ma dentro di te, qualcosa continua a correre. I pensieri non si fermano. Ripassi mentalmente conversazioni, rimugini su errori, anticipi scenari futuri che forse non accadranno mai.
È come se avessimo una radio interna sempre accesa. E spesso non trasmette belle canzoni, ma ansie, dubbi e autocritiche. Questa abitudine mentale ha un nome preciso: overthinking. Pensare troppo. Pensare in modo automatico, ripetitivo, spesso negativo. Un’attività incessante che ci disconnette dalla realtà e ci stanca profondamente.
Perché pensiamo troppo?
Il cervello umano si è evoluto per proteggerci. In tempi antichi, prevedere un pericolo significava sopravvivere, ma oggi le minacce non sono più animali feroci o tempeste improvvise. Sono scadenze, giudizi, aspettative, notizie continue. Così il cervello continua a fare il suo lavoro, ma senza un vero nemico da affrontare. E lo fa su di noi: analizza, controlla, giudica, prevede.
In più, viviamo in un ambiente che non aiuta. Smartphone, notifiche, social network, stimoli continui: la mente non ha più spazi vuoti. Non ha più tregua.
L’impatto dell’overthinking sul corpo e sulla mente
Pensare troppo non è solo fastidioso, ha effetti reali, misurabili, sul nostro benessere.
Quando la mente è iperattiva:
- Lo stress aumenta, perché il corpo produce più cortisolo;
- La concentrazione cala, perché l’attenzione è già occupata dai pensieri;
- Il sonno peggiora, perché è difficile “staccare” prima di dormire;
- La memoria si indebolisce, perché le risorse cognitive si consumano.
In altre parole: più pensi, meno vivi. Resti intrappolato nella testa, lontano da ciò che accade davvero, qui e ora.
Fermare i pensieri? No. Rallentarli, sì.
Non si può spegnere la mente a comando, ma si può imparare a viverla in modo diverso, a riconoscere i pensieri, a lasciarli andare, a ritrovare uno spazio di presenza.
Come?
La chiave è tornare al corpo. Portare l’attenzione al respiro, ai sensi, al momento, sentire i piedi che toccano il suolo, ascoltare i suoni intorno, osservare la luce che entra nella stanza. Anche solo per un minuto.
Scrivere aiuta. Mettere su carta i pensieri che ci girano in testa serve a “svuotare” la mente, a dare forma al caos. È un atto semplice, ma potente. E poi c’è l’ascolto. Quello di sé. Le frasi che ci diciamo, spesso senza accorgercene: “Non valgo abbastanza”, “Devo fare di più”, “Non ce la faccio”. Riconoscerle è il primo passo per cambiarle.
“Non pensiamo troppo perché siamo intelligenti”
Lo scrive il monaco giapponese Ryunosuke Koike, che ha dedicato proprio a questo tema un libro dal titolo eloquente: Smetti di pensare (troppo) e vivi meglio.
Secondo Koike, il pensiero eccessivo è un sintomo di disconnessione: siamo così lontani dal corpo, dai sensi, dal presente, che la mente prende il sopravvento. Non come un dono, ma come una fuga.
La sua proposta non è un metodo, ma un invito: smettere di pensare e cominciare a sentire. Respirare. Ascoltare. Mangiare con attenzione. Camminare senza fretta. Stare nel qui e ora.
Il suo approccio unisce psicologia, saggezza orientale e pratica quotidiana. Niente teorie complesse, solo un ritorno alla semplicità: il respiro, il corpo, l’attimo.
Vivere meglio non significa pensare meno, ma pensare con più consapevolezza
Non c’è niente di male nel pensare, ma quando i pensieri diventano una prigione, è tempo di cambiare sguardo. La via d’uscita non è nella fuga, né nel controllo. È nel tornare presenti. Tornare vivi. Con tutto ciò che comporta: confusione, bellezza, stanchezza, emozione.
E se vuoi un piccolo compagno di viaggio in questo percorso, Smetti di pensare (troppo) e vivi meglio può offrirti parole leggere e profonde, nate dall’esperienza e dalla pratica.
Non per aggiungere un altro pensiero, ma er imparare a lasciarlo andare.
