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Quanto ci influenza il senso di colpa?

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Kenneth Wapnick - 01/01/2016

Quello che facciamo con la colpa, questo senso di peccato e terrore che sentiamo, è far finta che non ci sia.

Lo spingiamo semplicemente via dalla nostra consapevolezza, e questo spingere via è conosciuto come repressione o negazione.

Semplicemente ne neghiamo l’esistenza a noi stessi.

 

Il senso di colpa: la negazione

Per esempio, se siamo troppo pigri per spazzare il pavimento, mettiamo lo sporco sotto il tappeto e poi facciamo finta che non ci sia; o uno struzzo impaurito che ficca la testa nella sabbia così da non dover affrontare né guardare ciò che lo sta terrorizzando tanto. Beh, questo non funziona per ovvi motivi. Il continuare a spazzare lo sporco sotto il tappeto lo renderà pieno di protuberanze e alla fine incespicheremo, mentre lo struzzo potrebbe farsi seriamente male se restasse nella sua posizione a testa in giù. Ma a un qualche livello sappiamo che la nostra colpa c’è.

 

Così torniamo dall’ego e diciamo che «la negazione andava molto bene, ma devi fare qualcos’altro. Questa roba sta montando e io sto per esplodere. Per favore aiutami». E allora l’ego risponde: «Ho proprio la cosa che fa per te». […]

 

Proiezione: come l’ego ci risponde

Proiezione significa molto semplicemente che prendi qualcosa da dentro di te e dici che in realtà non è lì: è fuori in qualcun altro.

 

La parola stessa significa letteralmente buttare fuori, o scagliare via da o verso qualcun altro; e questo è ciò che noi tutti facciamo con la proiezione.

Prendiamo la colpa o il senso di peccato che crediamo essere dentro di noi e diciamo: «In realtà non è dentro di me, ma è in te. Non sono io ad essere colpevole, sei tu il colpevole. Non sono io a essere responsabile per come mi sento miserevole e infelice: tu lo sei».

 

Dal punto di vista dell’ego non ha importanza chi sia “tu”.

All’ego non importa su chi proietti fintanto che trovi qualcuno su cui scaricare la tua colpa. Questo è il modo in cui l’ego ci dice che possiamo liberarci dalla colpa. […]

Prendiamo i nostri peccati e diciamo che non sono in noi: sono in te. E poi interponiamo della distanza tra noi e i nostri peccati.

 

Nessuno vuole stare vicino alla propria peccaminosità e così la prendiamo da dentro di noi e la piazziamo su qualcun altro, e poi bandiamo quella persona dalla nostra vita.

 

Ci sono due modi fondamentali per fare ciò. Uno è di separarci fisicamente da un’altra persona; l’altro è di farlo psicologicamente. La separazione psicologica è in realtà la più devastante e anche la più sottile.

 

Il modo in cui ci separiamo da qualcun altro, una volta che gli abbiamo messo addosso i nostri peccati, è di attaccarlo o di arrabbiarci con lui.

 

Qualsiasi espressione della nostra rabbia – sia nella forma di un lieve fastidio o di furia intensa (non fa alcuna differenza: sono entrambe la stessa cosa) – è sempre un tentativo di giustificare la proiezione della nostra colpa, non importa quale sembri essere la causa della nostra rabbia. 

 

La vera causa della rabbia

Questo bisogno di proiettare la nostra colpa è la causa prima di tutta la rabbia.

 

Non è necessario essere d’accordo con quello che gli altri dicono o fanno, ma nel momento in cui si fa l’esperienza di dare una risposta personale di rabbia, giudizio, o critica, è sempre perché si è visto in quell’altra persona qualcosa che si è negato in se stessi.

In altre parole, si sta proiettando il proprio peccato e la propria colpa su quella persona e la si attacca lì. Ma questa volta non li si sta attaccando in se stessi: li si sta attaccando in quell’altra persona e si vuole fare in modo che quella persona stia il più lontano possibile.

 

Ciò che si vuol fare in realtà è portare il proprio peccato il più possibile lontano da se stessi

 

 

Tratto dal libro “Introduzione a un corso in miracoli” di Kenneth Wapnick

  

 

Introduzione a Un Corso In Miracoli
Il testo fondamentale del nuovo millennio spiegato al grande pubblico - Con tutti i termini del glossario

 

 

 


 

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Kenneth Wapnick
Ha ottenuto il suo Ph. D. in psicologia clinica nel 1968 dalla Adelphy University. Fu amico e socio di Helen Schucman e William Thetford, le due... Leggi la biografia
Ha ottenuto il suo Ph. D. in psicologia clinica nel 1968 dalla Adelphy University. Fu amico e socio di Helen Schucman e William Thetford, le due persone la cui unione fu di stimolo immediato alla trascrizione di Un corso in miracoli. Kenneth è impegnato con Un corso in miracoli dal 1973, scrivendo, insegnando ed integrandone i principi nella... Leggi la biografia

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