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L’unificazione delle forze e il bosone di Higgs


Fausto Bersani Greggio - 01/01/2016

Il problema della conoscenza delle forze fondamentali e della loro unificazione rappresenta una delle sfide fondamentali della fisica contemporanea.
Le interazioni fondamentali sono quelle forze attraverso le quali è possibile descrivere tutti i fenomeni osservati in natura. L’obiettivo dei fisici è quello di trattare il maggior numero possibile di fenomeni attraverso il minor numero possibile di teorie generali, tendendo verso uno schema di unificazione che sia in grado di risalire all’origine dell’Universo attraverso un’unica forza. Tale convincimento nasce dalla constatazione che nella storia della fisica abbiamo già assistito, in passato, a diversi importanti esempi di unificazione che consentono di sperare in ulteriori operazioni di sintesi.
Tuttavia, l’estremo tecnicismo sia delle conoscenze teoriche coinvolte, sia degli apparati sperimentali utilizzati, spesso lasciano il grande pubblico disarmato in un contesto all’interno del quale risulta difficile, se non impossibile, districarsi.
L’esperienza didattica, per contro, mi ha insegnato che è comunque possibile svolgere trattazioni semiqualitative, anche di argomenti impervi come questo e, sulla base di conoscenze minime, ottenere risultati sorprendentemente predittivi.
Per fare chiarezza è necessario però procedere con ordine e cominciamo, nel nostro caso, descrivendo brevemente le caratteristiche principali delle attuali quattro interazioni fondamentali.
Come è noto la forza di gravità regola il moto dei corpi celesti ed, in generale, la struttura su grande scala dell’Universo. Essa si esercita fra tutti i corpi dotati di massa ed ha un raggio d’azione infinito. Descritta con successo dalla legge di Newton, sulla base di un’idea iniziale di Hooke, poi rivista ed ampliata da Einstein con la Teoria della Relatività Generale, essa rappresentò il primo esempio di unificazione nel momento in cui si intuì che la forza che fa cadere i gravi è la stessa che regola anche il moto dei pianeti e delle galassie.

Altro straordinario esempio di sintesi è rappresentato dall’interazione elettromagnetica. Essa è responsabile della stragrande maggioranza dei fenomeni osservati su scala umana, inclusi i fenomeni chimici e biologici, nonchè quelli che si riferiscono alla luce ed alle onde elettromagnetiche in generale. Anche tale forza, come quella gravitazionale, presenta un raggio d’azione infinito e, nell’universo microscopico, risulta determinante nel tenere legati insieme il nucleo e gli elettroni per formare atomi e questi, a loro volta, per formare molecole. Gli studi di molti fisici, tra cui Ampère e Faraday, misero in evidenza lo stretto legame esistente tra i fenomeni di natura elettrica e quelli di origine magnetica. L’unificazione fu portata a compimento tramite le equazioni di Maxwell per quanto concerne l’elettrodinamica classica e, successivamente, da Dirac e Feynman per la quantizzazione del campo elettromagnetico.

Un’altra interazione fondamentale è la forza nucleare forte la quale tiene uniti protoni e neutroni a formare i nuclei atomici: i nuclei sono costituiti da protoni, carichi positivamente, e da neutroni, elettricamente neutri. Le forze elettriche tra protoni sono repulsive e tenderebbero quindi a distruggere i nuclei. Tuttavia la maggior parte di essi è stabile è quindi deve necessariamente esistere un’ulteriore forza di natura attrattiva agente fra nucleoni, su scale dell’ordine di 10^(-13) cm, in grado di vincere la forza repulsiva elettrica. In seguito si è dimostrato che tale forza, analizzata allo stato fondamentale, rappresenta la risultante delle interazioni fra i quark, i componenti ultimi delle particelle pesanti quali, ad esempio, protoni e neutroni. La forza tra nucleoni si può quindi ritenere come una sorta di “forza residua” in modo analogo a quanto avviene fra gli ioni di un reticolo cristallino la cui stabilità dipende dalla risultante delle interazioni elettromagnetiche fra elettroni e nuclei.

La forza nucleare debole, al contrario, non dà luogo a sistemi legati come il nucleo, l’atomo o il sistema solare. Tale interazione, su scale dell’ordine di 10^(-16) cm, gioca tuttavia un ruolo di mediazione nei processi di instabilità di certi nuclei, come nel caso del decadimento beta e nell’attività delle stelle.
A questo punto un risultato rilvante sarebbe quello di poter effettuare un confronto fra queste forze. A tal fine, è necessario tenere conto del fatto che l’interazione tra due particelle dipende, in generale, da una costante specifica, che a sua volta è legata al sistema di unità di misura adottato, da grandezze intrinseche, come la massa o la carica elettrica, e da grandezze cinematiche, come ad esempio la distanza tra le particelle.
Mentre la costante è fissata dalla tipologia dell’interazione, le grandezze intrinseche e quelle cinematiche sono arbitrarie e devono essere fissate nello stesso modo per tutte le forze che si vogliono confrontare. Assicurata questa condizione si può esprimere l’intensità delle interazioni in una qualche scala dimensionale oppure, scelta una intensità di riferimento, in una scala adimensionale.
Ed è proprio quest’ultima la strada che di solito viene seguita: i valori finali che esprimono le intensità relative delle varie forze risultano indipendenti dalla scelta del sistema di unità di misura; espresse attraverso numeri puri adimensionali esse si offrono ad una più immediata comprensione. Tali valori rappresentano le cosiddette costanti di accoppiamento che in seguito indicheremo con la lettera α. Per il loro calcolo specifico rimandiamo il lettore a diverse pubblicazioni ([1], [3], [5], [6]), non tutte specialistiche, aventi tuttavia un percorso ed un livello che esulano dagli obiettivi di questo articolo.
Le stime dell’intensità delle interazioni, espresse in forma adimensionale, dipendono in realtà dalla scala energetica adottata. Tale scala è stata in fissata, nel caso delle interazioni forti, al valore della massa del protone (si ricordi che in base alla teoria della Relatività ad ogni massa corrisponde un equivalente energetico) (1) per cui, per omogeneità, assumeremo la stessa scelta anche in tutti gli altri casi.
A fronte di quanto sopra premesso, si ottengono, in definitiva, i seguenti valori numerici adimensionali:

  • α FORTE = 1
  • α ELETTR. = 10^(-2)
  • α DEBOLE = 10^(-5)
  • α GRAV. = 10^(-38).


Come si evince dalla Tabella, l’intensità relativa, dominata dalla forza nucleare forte, presenta, allo stato attuale dell’Universo, differenze di molti ordini di grandezza fra le varie interazioni. Tuttavia le costanti di accoppiamento che abbiamo introdotto vengono spesso definite, in letteratura scientifica, “running constants”, mettendo in evidenza, in parte, una contraddizione in termini. Infatti esse risultano rigorosamente costanti solo per valori prefissati della massa, o se si preferisce dell’energia di riferimento.

Ciò significa che variando la scala delle energie esiste la possibilità che due o più interazioni facciano convergere, le rispettive costanti di accoppiamento, verso un medesimo valore raggiungendo in tal modo un quadro di sintesi in virtù del quale l’Universo, in epoche passate, più vicine al Big Bang, quando la temperatura media e l’energia presentavano valori più elevati rispetto a quelli attuali (si tenga presente che la temperatura a cui corrisponde oggi la radiazione cosmica di fondo è di circa 2,7 Kelvin, ossia circa – 270 Celsius), poteva essere descritto da un minor numero di interazioni fondamentali fino ad arrivare ad una Teoria Del Tutto (TOE, Theory Of Everything) in cui è previsto un unico tipo di interazione. Questo fatto ci fa capire anche lo scopo di spingere la sofisticatissima tecnologia dei moderni acceleratori di particelle verso energie sempre più elevate: è noto infatti che, sulla base dello spostamento verso il rosso (red shift) delle galassie, l’Universo è in espansione, la distanza tra due punti qualunque cresce e con essa crescono anche le lunghezze d’onda dei fotoni; l’Universo quindi si espande e si raffredda. Viaggiando a ritroso nel tempo si arriva all’istante t = 0 (Big Bang) in cui la densità e la temperatura erano infinite. Oggi non è ancora chiaro quanto vicino a questo punto sia giustificato estrapolare i parametri fisici. Molti ritengono che si possa arrivare all’energia di Planck (10^19 GeV), anche se al momento manca una vera e propria integrazione della Meccanica Quantistica all’interno delle moderne teorie cosmologiche. In ogni caso di un fatto siamo certi: la fase calda inziale ha lasciato un fondo di fotoni “freddi” e quindi se volgiamo capire l’Universo primordiale dobbiamo riprodurre adeguate condizioni creando eventi con energie estremamente elevate.

Per avere un’idea dell’ordine di grandezza delle energie a cui avvengono le unificazioni delle interazioni, partendo dalle espressioni specifiche delle singole costanti, si può, ad esempio, rappresentare in un grafico l’andamento delle “running constants” alla ricerca di eventuali intersezioni. Queste sono caratterizzate da specifici valori di energia a cui corrispondono altrettanti gruppi di speciali particelle note con il nome di bosoni. Questa procedura, sicuramente meno raffinata rispetto ad un dettagliato studio della teoria quantistica dei campi, produce, tuttavia, dei risultati sorprendentemente precisi al punto da poter addirittura formulare ipotesi sperimentali future.
Di seguito ho riportato l’andamento delle costanti di accoppiamento in funzione dell’energia espressa in GeV.

 

Al livello energetico più basso, sotto i 100 GeV, si presenta una prima intersezione tra la forza nucleare debole e la forza elettromagnetica intorno a 50 GeV. In effetti nel 1983, al fisico italiano Carlo Rubbia fu attribuito il premio Nobel per aver scoperto i mediatori dell’interazione elettrodebole, ossia i bosoni W+, W- e Z0, aventi carica elettrica positiva, negativa e neutra, con masse, rispettivamente, di 80,6 GeV (W) e 91,2 GeV (Z). L’Universo raggiunse questo tipo di energie circa 10^-10 secondi (un decimo di miliardesimo di secondo) dopo il Big Bang quando la sua temperatura era di circa 10^15 Kelvin (un milione di miliradi di gradi Kelvin).
Il valore che si estrapola dal grafico, come si vede, risulta corretto solo come ordine di grandezza rispetto ai valori sperimentali. Tuttavia, ad un’analisi matematica più dettagliata dell’interazione elettrodebole, emergono dei valori minimi al di sotto dei quali la teoria impedisce l’esistenza di tali particelle. Il modello richiede che la massa dei bosoni W non sia inferiore a 37,3 GeV e quella della particella Z non inferiore a 74,6 GeV. Se calcoliamo la massa media minima di questo tripletto di particelle è facile verificare che questa si attesta a 49,7 GeV. Pertanto il sospetto che avanza da queste prime considerazioni è che il valore ottenuto dal grafico possa essere interpretato come il valore minimo teorico del gruppo dei bosoni che interviene nel processo di unificazione.

Procedendo di questo passo si nota un’intersezione tra la curva delle interazioni nucleari forti con quella delle interazioni elettromagnetiche (forza elettronucleare) a circa 10^15 GeV raggiungendo la cosiddetta Teoria di Grande Unificazione (GUT, Grand Unification Theory). Essa prevede l’esistenza di particelle note con il nome di bosoni X e Y, non ancora rilevate sperimentalmente, proprio ad energie dell’ordine di 10^15 ÷ 10^16 GeV quando l’Universo era particolarmente caldo (10^28 Kelvin) e giovane (10^-37 sec dal Big Bang). Di nuovo sembra che il valore ottenuto dal grafico rappresenti una sorta di estremo inferiore per la massa delle particelle bosoniche previste dalla teoria.
Nella TOE, anche se risulta difficile trovare una corretta ed armonica collocazione per il gravitone, il bosone mediatore della forza di gravità, l’interazione ubiquitaria in grado di agire su tutte le particelle dotate di massa, i fisici hanno comunque sviluppato congetture: alla scala di Planck, corrispondente ad energie dell’ordine di 10^18 ÷ 10^19 GeV (raggiunte dopo circa 10^-44 sec dal Big Bang con temperature di 10^32 Kelvin), le interazioni fondamentali dovrebbero essere rionducibili ad un’unica superforza raggiungendo così la sintesi estrema. Dal nostro grafico si ottiene un’intersezione tra forza elettrodebole, nucleare forte e gravitazionale ancora in corrispondenza del valore più basso dell’intervallo previsto dalle teorie di unificazione, ossia a 10^18 GeV.

Infine non sarà passato inosservato al lettore attento che abbiamo momentanemente tralasciato di trattare un’intersezione tra forza nucleare debole e forza nucleare forte ad energie di poco superiori a 100 GeV. Un ingrandimento del grafico individua tale intersezione intorno a 128 GeV. Ritengo potrebbe essere interessante rivalutare tale energia alla luce del recente annuncio della scoperta del famoso bosone di Higgs, un particella che non è in grado di mediare alcuna interazione, ma consente di fornire massa alle altre particelle. Essa può comparire in eventi molto rari che coinvolgono proprio le due interazioni nucleari. Tuttavia, al contrario delle masse dei bosoni W e Z, la massa del bosone H non è fissata dalla teoria e rappresenta un parametro libero del modello. Sulla base di risultati sperimentali, acquisiti non solo al CERN di Ginevra, era stata esculsa tutta una serie di intervalli di masse lasciando solo una piccola finestra intorno a 117 GeV ed una regione compresa tra 123 e 127 GeV. Il 13 dicembre 2011, in un seminario presso il CERN, era stata illustrata una serie di dati degli esperimenti ATLAS e CMS dell’acceleratore di particelle LHC (Large Hadron Collider), che individuavano il bosone di Higgs in un intervallo di energia fra i 124 e 126 GeV con una probabilità prossima al 99%. Benché tale livello statistico sia sicuramente notevole, la comunità scientifica richiede che sia raggiunto un livello di confidenza, ossia una possibilità di errore dovuto al caso (nella fattispecie a fluttuazioni quantistiche), non superiore a 6 parti su 10 milioni (corrispondente a una probabilità del 99,99994%) prima di poter annunciare ufficialmente una scoperta. Il 5 aprile 2012, nell'acceleratore LHC, che corre con i suoi 27 km sotto la frontiera tra Svizzera e Francia, è stata raggiunta l'energia massima mai toccata di 8000 GeV in un esperimento di fisica delle particelle. Gli ulteriori dati acquisiti hanno permesso di conseguire la precisione richiesta e comunicare, da parte del CERN il 4 luglio 2012, la scoperta di una particella compatibile con il bosone di Higgs, la cui massa risulta intorno a 126 GeV per l'esperimento ATLAS e a 125,3 GeV per l'esperimento CMS.

Se confidiamo nel fatto che il nostro grafico continui a fornirci indicazioni circa il limite inferiore teorico delle energie a cui compaiono i bosoni caratteristici dei processi di unificazione, allora dovremmo aspettarci una piccola correzione circa la massa della particella di Higgs la quale non dovrebbe risultare inferiore a 128 GeV. Seppur con tutte le precauzioni legate al metodo grafico adottato, parrebbe alquanto bizzarro constatare che per tutte le interazioni analizzate nelle varie transizioni, le curve prese in esame ci consentano di ottenere con estrema precisione il valore minimo delle particelle coinvolte e perdano improvvisamente il loro significato nel solo caso del bosone di Higgs.
Per completezza è bene comunque precisare che il modello teorico presenta anche la possibilità che esistano più campi di Higgs. In effetti gli esperimenti ATLAS e CMS si sono sempre espressi cautamente indicando di aver rilevato “forti indicazioni della presenza di una nuova particella attorno alla regione di massa di 126 GeV”, come recita un comunicato del CERN.
La particella osservata presenta gran parte delle caratteristiche attese per il bosone di Higgs, anche se serviranno ulteriori ricerche ed elaborazione dei dati per avere una certezza definitiva.
Basti pensare che nel corso dei primi tre mesi di lavoro del 2012, LHC è arrivato a realizzare circa 560.000 miliardi di collisioni protone-protone e per la fine del 2012 erano previste un milione e mezzo di miliardi di collisioni protone-protone. Ora LHC verrà spento e si lavorerà durante un anno e mezzo, tra il 2013 e il 2015, a causa di delicati lavori di manutenzione e potenziamento, per poi ripartire con una macchina in grado di accelerare i protoni all’energia record di 14 miliardi di GeV: a quel punto vedremo se compariranno ulteriori sorprese nell’Universo infinatamente piccolo e se, un modesto grafico, è stato in grado di produrre una suggestiva previsione.

Note:
(1) La massa del protone è uguale a 1,67265*10^-27 kg a cui corrisponde un’energia pari a circa 1 GeV, ossia un miliardo di elettronVolt (per l’esattezza 0,93828 GeV). L’elettronVolt definisce l’energia acquistata da un elettrone sottoposto ad una differenza di potenziale elettrico di 1 Volt.

Bibliografia:
[1] Leptoni e quark, L. B. Okun. Ed. Riuniti – Ed. Mir (1986).
[2] Nuclei e particelle, E. Segrè. Ed. Zanichelli (1982).
[3] Big Bang, Big Bounce, I. L. Rozental. Springer – Verlag (1984).
[4] Universo Inflazionario, A. Guth e P. Steinhardt in La Nuova Fisica, Bollati Boringhieri (1992)
[5] L’unificazione delle forze, F. Bersani Greggio. Didattica delle Scienze – (Aprile 2009) n. 261.
[6] http://ishtar.df.unibo.it/Uni/bo/ingegneria/all/semprini_cesari/stuff/homepage.htm – Lezioni di Fisica delle Particelle, C. Semprini (2011)
[7] Relatività e fisica delle particelle elementari, S. Bergia. Ed. Carrocci (2009).


Fausto Bersani Greggio
Laureato in Fisica presso l’Università degli Studi di Bologna con una tesi sulla quantizzazione del campo gravitazionale.Associato all'I.N.F.N.... Leggi la biografia
Laureato in Fisica presso l’Università degli Studi di Bologna con una tesi sulla quantizzazione del campo gravitazionale.Associato all'I.N.F.N. (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) dal 1995 al 2007 per collaborazioni ai progetti di ricerca degli esperimenti L.V.D. (Large Volume Detector) e O.P.E.R.A. (Oscillation Project with... Leggi la biografia

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