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Come funziona il cervello?

Neuroscienze e Cervello

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Cervello umano: quali sono gli strumenti utilizzati per studiarlo e per capire come funziona, dall'elettroencefalografo alla risonanza magnetica funzionale (RMF)


Redazione - Scienza e Conoscenza - 25/03/2023
Il seguente articolo è tratto dal libro Blue Mind. Mente ed Acqua.
Come possiamo affrontare lo studio del cervello umano?
Ciò è possibile grazie allo sviluppo di tecniche e strumentazioni non invasive che hanno consentito agli scienziati di monitorarlo. Il primo di questi apparecchi è stato l’elettroencefalografo (EEG), basato sulla comprensione delle proprietà elettriche del tessuto vivente. Il primo impiego dell’EEG su esseri umani è avvenuto nel 1924.

L'elettroencefalografo (EEG)

Nel corso del Ventesimo secolo i tracciati EEG sono state impiegati sia come strumento diagnostico che per la ricerca.
Un EEG funziona perché i neuroni nel cervello attivandosi generano piccole cariche elettriche, e quando gruppi di neuroni si accendono insieme, creano un’“onda” elettrica che può essere rilevata e registrata. I dati vengono generati applicando gli elettrodi dell’EEG (spesso inseriti in una cuffia, una rete, o una fascia) sulla testa e monitorando i picchi e gli avvallamenti dell’elettricità generata nel cervello. (Per poter essere analizzato il segnale viene amplificato).
L’EEG può monitorare l’attività cerebrale individuando quale parte del cervello è coinvolta in un “evento cognitivo”: attraverso il tipo di onda cerebrale (alfa, beta, teta e delta, ciascuna corrispondente a una distinta gamma di frequenza e al corrispettivo livello di attività cerebrale, il che rende cruciale l’EEG per gli studi sul sonno), e attraverso l’attività anomala (come nell’epilessia, disturbo che produce schemi di picchi ravvicinati nell’attività elettrica del cervello). Certi elettroencefalografi sofisticati possono campionare in modo non in vasivo sessantotto canali di dati ogni quattro millisecondi o anche meno, e registrare eventi elettrici della durata di un millisecondo.
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I neuroscienziati cognitivi hanno scoperto che l’EEG può essere uno strumento estremamente utile per monitorare le funzioni
cerebrali come l’attenzione, le risposte emozionali, il modo in cui tratteniamo le informazioni e così via.
E in un eccitante sviluppo per chi di noi fa ricerca fuori dall’ambiente del laboratorio, gli elettroencefalografi stano diventando sempre più piccoli e più portatili, e alcuni assomigliano addirittura agli auricolari che si usano per i videogame al computer.

Altri strumenti di indagine del cervello

Tuttavia, i tracciati EEG indicano l’attività elettrica solo a una profondità superficiale, e molte funzioni critiche nel cervello hanno luogo a profondità molto maggiori. Per esplorarle, erano necessari altri strumenti. Negli ultimi cinquant’anni la RM (la buona vecchia risonanza magnetica), la tomografia a emissione di positroni (PET) e la tomografia computerizzata a emissione disingolo fotone (SPECT) sono state impiegate per produrre immagini dell’attività profonda del cervello monitorando i cambiamenti nel flusso sanguigno o nell’attività metabolica.
Ma mentre l’EEG si affida soltanto ai campi magnetici e alle onde radio, la PET e la SPECT impiegano isotopi radioattivi iniettati, il che ne limita l’utilità. Una nuova risposta è arrivata negli anni Novanta con la risonanza magnetica funzionale per immagini, o RMF.

La risonanza magnetica funzionale (RMF): cosa ci dice del cervello?

A seconda del compito che dev’essere svolto, aree diverse del cervello si attivano in momenti diversi. Una maggiore attività richiede più ossigeno, e questo provoca un incremento del flusso sanguigno in quelle aree cerebrali. Come i loro fratelli più anziani, le macchine per la RMF impiegano potenti campi magnetici per allineare i protoni degli atomi di idrogeno nel sangue, per poi rompere l’allineamento mediante l’uso di onde radio. Una RMF cerca le differenze nei segnali provenienti dagli atomi di idrogeno per distinguere tra diversi tipi di materia. Riallineandosi, i protoni emettono segnali diversi per il sangue ossigenato e per quello non ossigenato, e sono quei segnali a essere rilevati dall’apparecchio. Quando un soggetto intraprende un’attività, come stringere una mano o guardare una certa immagine, la RMF misura la percentuale di sangue ossigenato e non ossigenato, oppure il contrasto dipendente dal livello di ossigeno (BOLD) in diverse aree del cervello in quel dato momento.
Il computer della macchina quindi utilizza un sofisticato algoritmo per interpretare i dati ricevuti e rappresentarli nella forma di infinitesime unità tridimensionali dette voxel. Colori diversi vengono usati per indicare l’intensità dell’energia in quella particolare area, con il rosso che indica l’attività più intensa, e il porpora o il nero un’attività bassa o nulla. Quanto più brillante è il colore, tanto maggiore è l’attività in quella particolare regione del cervello, motivo
per cui si dice che un’area del cervello attivata “si accende”.
Negli ultimi vent’anni la RM è diventata il metodo preferito per misurare la funzione cerebrale, utilizzato da scienziati cognitivi, neurologi, neurobiologi, psicologi, neuroeconomisti e altri.


Redazione - Scienza e Conoscenza
La redazione di Scienza e Conoscenza è composta da giornalisti e responsabili di collana che collaborano con autori e ricercatori esperti nei... Leggi la biografia
La redazione di Scienza e Conoscenza è composta da giornalisti e responsabili di collana che collaborano con autori e ricercatori esperti nei campi della Medicina Integrata, della Consapevolezza e della Fisica Quantistica.    Leggi la biografia

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