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Inventori di malattie

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Domenico Battaglia - 01/01/2016

Quello che affronteremo in questo capitolo è uno degli argomenti maggiormente insidiosi e subdoli. Affronteremo la cosiddetta mercificazione della malattia (Mongering Disease), cioè quella modalità pseudoscientifica che trasforma la malattia, o uno o più sintomi, in elementi centrali del business farmacologico-terapeutico.
Non è l’obiettivo di questo libro disquisire e approfondire ciascuna delle patologie che seguono, vorrei invece far cogliere, attraverso questi pochi esempi, una visione d’insieme che va
oltre la conoscenza “strettamente medica” delle singole malattie. Lo scopo reale è quindi quello di promuovere una maggior consapevolezza riguardo agli scenari sanitari con cui ci si deve confrontare di questi tempi e con cui, con tutta probabilità, dovremo confrontarci nel prossimo futuro se non verranno favoriti modelli di vita maggiormente in linea con i ritmi dell’Uomo e del Pianeta.
La trattazione non vuole essere pertanto né rigorosa, né tantomeno esaustiva, ma vuole portare il lettore a cogliere elementi relativi alla malattia, che in alcuni ambiti possono avere punti di sovrapposizione, affinché nascano spunti di riflessione atti a favorire la ricerca di percorsi di maggior conoscenza e consapevolezza.

Già nel 2002 una rivista scientifica di prima fila, il British Journal of Medicine (BJM), metteva in evidenza e richiamava l’attenzione dei medici sul fatto che gli indici di normalità di alcune patologie molto diffuse, come ipercolesterolemia ed ipertensione, avessero subito negli anni un costante e forse ingiustificato ribasso delle soglie di normalità. Questo atteggiamento sembrava favorire un reclutamento sempre maggiore di cosiddetti “nuovi malati” nelle popolazioni oggetto
dei vari studi, producendo l’incremento di nuovi probabili consumatori di farmaci per la prevenzione o la cura di dette patologie. Dopo dieci anni circa (febbraio 2013) la stessa rivista pubblicava un editoriale in cui il tono delle affermazioni non era più dubitativo, come nel lontano 2002, ma affermativo
e definitivo.
Riporto alcuni passaggi del testo per chiarire maggiormente: “Le prove degli eccessivi atti medici nei paesi ricchi hanno continuato ad accumularsi, con un incremento della documentazione relativa a inequivocabili danni e ai costi di interventi chirurgici inutili” ed ancora “Una donna su cinque che riceve diagnosi di cancro della mammella non avrebbe avuto alcun danno da quel tumore”. L’autore dell’editoriale arriva a
concludere in questo modo: “Esistono rischi di massiccia sovradiagnosi e di dannosi eccessi terapeutici conseguenti alla frequente indagine diagnostica precoce. Esiste un problema più o meno marcato di sovradiagnosi in un’ampia gamma di condizioni diffuse, tra cui il cancro della prostata e della tiroide, l’asma, la nefropatia cronica e il deficit di attenzione ed iperattività. Questo dato è rilevante, perché una volta che
le persone vengono etichettate con una diagnosi ne consegue una cascata di conseguenze mediche, sociali ed economiche, alcune delle quali permanenti. L’etichetta medica e la conseguente terapia comportano un pedaggio emotivo e finanziario per l’individuo, con costi ingenti per il sistema sanitario”.

Vediamo nello specifico, e soprattutto nella pratica, come si realizza questa pericolosa e subdola manovra nella quotidianità di ogni cittadino. In alcuni casi accade che vengano abbassati i valori di riferimento, come si diceva nelle precedenti affermazioni, per far in modo che una certa quota di popolazione che rientrava nei limiti di norma, e quindi considerata “sana”, con il modificarsi dei valori di riferimento si ritrovasse da un momento all’altro a far parte di una popolazione “malata”.
“Nuovi malati” dunque, nel senso che ampi gruppi di popolazione definiti sani secondo criteri biochimici e bio-umorali (cioè in base ai valori di varie sostanze misurabili nei liquidi del corpo umano, primo fra tutti il sangue) da un certo momento in poi, e un giorno per l’altro, si ritrovano nelle file dei malati per decisione di un nucleo ristretto di persone.

Vediamo alcuni esempi: negli ultimi anni il valore dei trigliceridi considerato nei limiti di norma è passato da 200 mg/ dl a 150 mg/dl, quello del colesterolo totale è stato portato al di sotto dei 200 mg/dl; i valori ematici di glucosio per la definizione del diabete, altra patologia diffusissima nella popolazione mondiale, sono stati ribassati a <126 mg/dl (in passato i valori normali erano circa 144 mg/dl). Si è assistito anche ad un inspiegabile ribasso dei valori del PSA (antigene prostatico specifico), da 4 ng/ml a 2,5 ng/ml.
A questo punto vi chiederete quali siano stati gli effetti pratici sulla popolazione. La risposta risiede nel fatto che un numero un sempre maggior numero di pazienti, che deriva direttamente dal precedente in funzione dei ribassi dei valori normali descritti, è l’aumento incredibilmente copioso dei programmi di screening, di cui abbiamo discusso ampiamente in precedenza. Qui ci basti ricordare che al crescere dei programmi di screening sono proporzionalmente aumentate le diagnosi precoci e il numero degli interventi chirurgici o di procedure invasive potenzialmente dannose.

Ma un’anticipata diagnosi può davvero prolungare la vita dei pazienti? Spesso non è così, se si leggono bene i dati e si interpretano in maniera onesta. Infatti accade che gli screening scoprano in anticipo un tumore senza che questo si traduca in una riduzione della mortalità totale.
Nell’ambito della lettura dei dati e delle conseguenti conclusioni dobbiamo tenere in considerazione se, anticipando la diagnosi e sottoponendosi ad una terapia magari invasiva e potenzialmente dannosa, non ci si possa ritrovare a vivere una qualità di vita pessima per molti anni in più rispetto ad una diagnosi tardiva, che in ogni caso non avrebbe modificato di un giorno la data della dipartita (chi volesse approfondire questi concetti può consultare il seguente articolo: “Sopravvivenza e mortalità: come interpretare i dati degli studi” di A. Battaggia, L. Puccetti e R. Rossi).

Ad esempio proviamo a considerare gli ormai noti valori del PSA: un numero sempre crescente di persone è stato avviato verso procedure invasive come la biopsia prostatica, che in molti casi individua un tumore della prostata in 16-20 pazienti ogni 100. Quanti individui appartenenti a questo 16-20% beneficerebbero di un intervento chirurgico? Se si considerano quei casi che, per età avanzata (oltre i 70 anni) o per coesistenti patologie gravi, non riceverebbero alcun beneficio dalla chirurgia, il numero dei pazienti per i quali sarebbe indicato l’intervento chirurgico si ridurrebbe ulteriormente. Come abbiamo
avuto modo di considerare altrove, bisognerebbe inoltre chiedersi: nei casi in cui l’atto chirurgico venisse condotto, questi pazienti beneficerebbero veramente di un allungamento della loro vita? E la qualità di vita che li attenderebbe dopo l’intervento sarebbe davvero buona? L’incontinenza urinaria, la disfunzione erettile, e più in generale le conseguenze post intervento non sono eventi affatto rari! Questi possono minare la qualità di vita di molte persone, per molti anni in più rispetto al previsto, visto che abbiamo anticipato la diagnosi e di conseguenza la terapia.

Un altro esempio si può trarre da uno studio pubblicato dalla Cochrane Collaboration (iniziativa internazionale no profit creata per valutare e diffondere criticamente la reale efficacia dei trattamenti sanitari). Lo studio in questione è stato pubblicato nel 2006 nel “Cochrane Systematic Review” e riguarda l’oramai consolidata pratica di eseguire ogni 2 anni la radiografia della mammella (mammografia) alle donne che hanno superato i 50 anni di età, allo scopo di diagnosticare precocemente un tumore della mammella. I risultati di questo studio si basano sull’analisi di 2000 donne sottoposte a mammografia, confrontate con altre 2000 donne che non hanno eseguito il suddetto protocollo di screening.
I dati parlano abbastanza chiaramente e ve li riporto: “Su 2000 (duemila) donne esaminate per un tempo di 10 (dieci) anni solo 1 (una) grazie a questa tipologia di screening avrà prolungata la sua vita, cioè lo screening ha evitato un solo decesso per tumore al seno nel gruppo che aveva eseguito la mammografia, rispetto alle 2000 donne che non erano state inserite nel protocollo di screening”.
Alla luce di questi dati sarebbe opportuno valutare non solamente l’impatto sulla spesa economico-sociale che tutto ciò può avere, ma anche se ci stiamo prendendo realmente cura della persona o se stiamo solamente continuando ad emettere raggi X sui corpi umani perseguendo modelli di profitto e di business, che oggi sembrerebbe essere il trend maggiormente perseguito dagli enti sanitari, che non mettono più al centro della loro “mission”, se non in termini teorici, il prendersi cura, il benessere e la salute della persona.

Tratto da...

Medicina Consapevole - Libro
Con un poco di zucchero la pillola andrà giù?

Domenico Battaglia
Laureato in Medicina e Chirurgia, Specialista in Urologia/Andrologia, Master Internazionale di I livello in Alimentazione e Dietetica... Leggi la biografia
Laureato in Medicina e Chirurgia, Specialista in Urologia/Andrologia, Master Internazionale di I livello in Alimentazione e Dietetica Vegetariana.Svolge attività di consulenza come libero professionista (Milano, Padova, Modena, Ferrara, Cesena, Roma).Autore del libro Medicina Consapevole, con un poco di zucchero la pillola andrà giù? edito da... Leggi la biografia

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