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Piede diabetico: una cura alternativa

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Patrizia Marini - 01/01/2016

Per piede diabetico si intende l’insieme delle alterazioni morfologiche e funzionali (ossee, articolari e cutanee) secondarie alla presenza di ateropatia ostruttiva periferica (AOCP) e/o neuropatia diabetica. Si caratterizza per la presenza di ulcerazioni, spesso complicate da infezioni cutanee (ulcere infette) e ossee (osteomieliti ) che, se evolvono verso la gangrena rendono l’amputazione l’unica soluzione terapeutica possibile.
Tra le complicanze del diabete, il piede diabetico sta assumendo un ruolo sempre più rilevante.
Si stima che in Italia 2 milioni di individui e le loro famiglie siano coinvolte nel problema. Tale patologia colpisce l’1,5% della popolazione e il 5% della popolazione over 65 anni.
La lesione ulcerata del piede diabetico è una ulcerazione che può formarsi a livello del piede e della caviglia di persone affette da diabete mellito tipo 1 e tipo 2.
Il diabete può favorire la formazione di ferite (ulcere) ai piedi mediante i danni ai nervi ed alle arterie; tali ferite guariscono con molta difficoltà, necessitano di medicazioni quotidiane, e spesso di terapia antibiotica essendo più a rischio di infezioni.
Le persone affette da diabete (soprattutto se non ben compensato) sono infatti più soggette alle infezioni delle persone non diabetiche e sono anche meno in grado di combatterle efficacemente a causa dell'indebolimento del sistema immunitario.
Le infezioni quindi riescono a propagarsi velocemente e/o a passare inosservate fino a quando sono ormai troppo estese.
In casi estremi occorre risolvere l'infezione facendo uso della chirurgia demolitiva (amputazione). Nella maggior parte dei casi (85%), l’amputazione viene effettuata come conseguenza di un’ulcera del piede che continua a recidivare, non guarisce e tende progressivamente ad aggravarsi.
 
Perché si formano le ulcere?
Non esiste una causa unica; i diabetici presentano con frequenza una diminuzione dell’afflusso di sangue, come conseguenza di un restringimento delle arterie (arteriopatia periferica), una diminuzione della sensibilità dovuta ai danni ai nervi (neuropatia) che rende difficile riconoscere i possibili fattori causali di lesioni (scarpe strette o rigide, oggetti all’interno delle scarpe, cuciture) e una maggiore incidenza di infezioni. Inoltre, se un piede riceve meno sostanze nutritive e ossigeno, come nel caso del piede del diabetico, le ossa e le articolazioni si indeboliscono e il piede si appiattisce creando nuove aree di pressione, che possono danneggiare la pelle o evolversi fino a ulcerarsi.
 Nel piede diabetico, spesso, sono contemporaneamente presenti segni legati alla neuropatia diabetica periferica (PIEDE NEUROPATICO), alla arteriopatia diabetica periferica (PIEDE ISCHEMICO) ed alle infezioni (PIEDE INFETTO).
Le lesioni sul piede diabetico sono il frutto dell’azione combinata di angiopatia (ischemia) e neuropatia.
Ovvero della insufficienza vascolare (scarsa circolazione) che causa una diminuzione dell’afflusso di sangue ai tessuti del piede, unita alla progressiva perdita di sensibilità delle estremità (piedi e gambe) dovuta alla malattia diabetica che colpisce i nervi (piede neuropatico).
Entrambe possono essere complicate dal sovrapporsi dell’infezione.
 
Il piede neuropatico
La neuropatia diabetica ossia la sofferenza dei nervi periferici (che collegano il cervello e il midollo spinale al resto del corpo) è una complicanza piuttosto frequente del diabete di tipo 1 e del diabete di tipo 2; il danneggiamento dei nervi periferici degli arti inferiori e dei piedi è legato sia al negativo impatto degli elevati livelli di glicemia sulle fibre nervose sia alle lesioni che l'iperglicemia può provocare nei vasi sanguigni che nutriscono dette fibre
Tale condizione può creare una riduzione della sensibilità (neuropatia diabetica), che impedisce di evidenziare iniziali lesioni a carico dei piedi. Ciò comporta che le lesioni possono peggiorare ed infettarsi senza che il paziente se ne renda conto.
Se ciò avviene si può giungere alla amputazione di un dito, di parte del piede o addirittura dell'arto inferiore.
La neuropatia diabetica può portare anche a una condizione chiamata piede di Charcot (o artropatia neuropatica)
Consiste in una patologia ossea e delle articolazioni del piede, che si deformano e si frammentano, fino alla perdita dell’architettura del piede, con una grave deformità del piede.
In questa situazione, il soggetto diabetico a causa della neuropatia non avverte dolore a livello dell'articolazione, diventando quindi più soggetto a traumi anche ripetuti, che aggravano la disintegrazione e la dislocazione delle articolazioni. Il processo distruttivo diventa cronico e si determina un vero circolo vizioso.
Inoltre, la ridotta circolazione sanguigna non fornisce un sufficiente nutrimento all'articolazione. L’insieme di questi fattori negativi è causa di seri danni, in genere alle articolazioni del piede, con progressiva rotazione verso l'esterno.
Questa affezione, se non diagnosticata e quindi non curata al suo esordio (cosiddetto Charcot acuto), diviene cronica evolvendo verso quadri di deformità tali da procurare ulcere difficilmente guaribili o recidivanti che alla fine possono portare anche alla amputazione dell’arto.
 
Il piede ischemico
In questo caso si parla di arteriopatia cronica ostruttiva (AOCP), cioè le lesioni e le stenosi (chiusura dei vasi) delle arterie periferiche, responsabili di scarsa irrorazione ematica e, pertanto, di sofferenza ischemica dell’arto e del piede in particolare.
L'arteriopatia diabetica rappresenta oggi una malattia molto diffusa e in fase di aumento statistico.
Il diabete è caratterizzato nella sua evoluzione da complicazioni vascolari importanti che spesso costituiscono la causa di un deficit invalidante o addirittura del decesso, fra le quali la retinopatia, la nefropatia, l’arteriosclerosi periferica, la malattia coronarica, l’insufficienza cerebrovascolare Insufficienza cerebrovascolare e infarto del miocardio rappresentano una frequente causa di morte nel diabete e nei pazienti affetti da diabete mellito, il rischio di arteriopatia periferica è 4 volte superiore a quello dei non diabetici; il rischio di ischemia critica è 5 volte superiore.
Il piede ischemico si caratterizza, talora, per dolore alla deambulazione, la cosiddetta "claudicatio intermittens", il sintomo più precoce dell'arteriopatia periferica (ischemia).
Si tratta di lesioni della parete dell’arteria che iniziano come placche lipidiche, proseguono con deposizione di tessuto fibroso e calcio, fino alla stenosi, quando cioè il vaso è pressocchè chiuso. Colpisce ambedue le gambe e interessa prevalentemente le arterie sotto il ginocchio. L'assenza di claudicatio nel diabetico è determinata dalla concomitante presenza di neuropatia sensitiva.
Questa produce una riduzione nella percezione del dolore, che apparirà molto ridotto di intensità, al punto di non attrarre l'attenzione del paziente. Infatti in molti pazienti diabetici la diagnosi di arteriopatia viene posta al momento in cui si manifestano alterazioni trofiche delle dita dovute alla carenza di ossigeno (ipossia) dei tessuti, quindi con estremo ritardo rispetto alla sua insorgenza.
In questo caso è indispensabile provvedere ad un intervento di rivascolarizzazione dell'arto colpito. Il trattamento dell’ischemia è volto a correggere il deficit circolatorio e nella maggior parte dei casi è possibile, sotto mani esperte, con tecniche endovascolari o con by-pass chirurgici
 
Il piede infetto
Più del 25% dei soggetti diabetici sviluppa, nel corso della propria vita, problemi ai piedi. Più dell'80% delle amputazioni nel mondo occidentale vengono praticate nella popolazione diabetica e la lesione ulcerativa ne è il fattore di rischio più importante.
Il diabetico che soffre di neuropatia o scarsa circolazione finisce per caricare il proprio peso, sempre sulle stesse aree della pianta del piede, le quali subiscono una compressione costante su tessuti che già di per sé ricevono meno sangue del necessario. A causa di questa insensibilità si rischia di ferirsi senza accorgersene, inoltre le deformazioni ai piedi come infiammazioni all'alluce e dita a martello possono causare lesioni (calli, duroni, vesciche o ulcere) e portare ad infezioni più serie in altre parti del piede.
I tessuti infetti avendo un metabolismo elevato richiedono, inoltre, una maggiore quantità di ossigeno; la alterata circolazione sanguigna nell'albero arterioso delle gambe (arteriopatia periferica) impedisce all'ossigeno e ai nutrimenti necessari di arrivare ai tessuti, e di conseguenza le ferite faticano a rimarginarsi.
La comparsa di ulcere neuropatiche e/o ischemiche crea le condizioni per lo sviluppo di processi infettivi che comportano un aumentato rischio di amputazione (ulcera infetta).
Un’ulcera infetta può provocare infatti provocare fenomeni sistemici che possono mettere a repentaglio non solo il salvataggio d’arto ma la vita stessa del paziente (stato settico, setticemia).
Un'infezione superficiale è, abitualmente, causata da batteri gram-positivi, mentre le infezioni profonde sono spesso polimicrobiche e possono coinvolgere batteri gram-negativi e anaerobi. L'episodio infettivo è spesso sostenuto da più specie batteriche, quelle maggiormente rappresentate sono: stafilococco aureo, pseudomonas aeruginosa, streptococco, enterococchi e proteus mirbilis.
L'infezione può presentarsi sotto diversi aspetti anatomopatologici, distinti in relazione ai piani anatomici interessati.
Più frequentemente l’infezione coinvolge la cute superficiale (intertrigo), le unghie (onicomicosi) o il sottocute (ascesso e cellulite), ma a volte può coinvolgere anche i tessuti più profondi come l’osso (osteomielite).
L’ascesso è una delle conseguenze più frequenti di un processo infettivo localizzato. In questo caso le sacche di pus (raccolte ascessuali) vanno drenate.
Quando, invece, l’infezione di diffonde coinvolgendo i tessuti sottocutanei ma senza coinvolgere il tessuto muscolare, si presenta con necrosi massiva del sottocute e con colorazione bluastra della cute sovrastante (fascite necrotizzante). Nella fascite necrotizzante l’infezione può estendersi nel giro di poche ore in maniera devastante tramite la fascia che ricopre i muscoli, con necrosi (morte di zone di tessuto) e liquazione tessutale.
Intervenire rapidamente significa rimuovere quanto di infetto è presente: il trattamento chirurgico permette di drenare (cioè evacuare) il pus e di valutare quanto profonda ed estesa è l’infezione e quanto quindi siano coinvolti i tessuti (tendini, muscoli, ossa).
Se invece la necrosi interessa solo il tessuto muscolare e i tendini (senza il coinvolgimento di cute e sottocute) con possibile interessamento delle strutture ossee (osteomielite), si parla di cellulite necrotizzante; si caratterizza per la presenza di ulcere a drenaggio sieroematico, dolenti e con enfisema sottocutaneo.
La cellulite superficiale interessa il derma, con secrezione modesta, ed eritema attorno alla lesione limitato.
La cellulite suppurativa interessa cute e sottocute con fascia muscolare indenne, è presente secrezione abbondante e purulenta e vasto eritema attorno alla lesione.
La cellulite crepitante, invece, si caratterizza per la presenza di gas nei tessuti e per l’emissione di gas maleodoranti (gangrena gassosa).
La gangrena (cioè la necrosi a tutto spessore dei tessuti molli) rappresenta il quadro clinico più noto nel diabetico (FOTO 6)
La gangrena causata da germi anaerobi può coinvolgere piccole parti (falangi), parti più estese (dita) sino a gran parte del piede (avampiede, meso e retropiede). Può essere secca, e questa rappresenta una urgenza relativa o umida o gassosa (cioè la necrosi o da germi misti che danno cellulite o fascite necrotizzante) richiede una urgenza assoluta perché in questo caso rischiamo non solo la perdita dell’arto ma la vita del paziente (sepsi).
Queste lesioni tendono ad approfondirsi fino ai piani ossei che, quasi inevitabilmente, vengono infettati dai germi presenti nella ferita e si ha l’osteomielite.
Se già in un organismo sano l’osteomielite è di difficile cura, in un paziente diabetico – vasculopatico e neuropatico – le speranze di risolvere la patologia in maniera conservativa sono spesso molto rare.
 Se la terapia antibiotica e chirurgica dovessero fallire l’ultima possibilità terapeutica è rappresentata dall’amputazione dell’arto in quanto un’ulteriore diffusione dell’infezione (setticemia) potrebbe essere fatale per il paziente.
 Esiste una correlazione tra gravità dell'infezione ed arteriopatia, infatti la situazione si aggrava nei soggetti dove coesiste infezione ed ischemia dell'arto.
Tanto è vero che nei pazienti con ischemia severa si ricorre all'amputazione molto più frequentemente rispetto a pazienti che non presentano quadri ischemici gravi, perché l'infezione si presenta, quasi sempre, con quadri clinici molto severi che non sono risolvibili in altro modo.
Per questo, nei pazienti diabetici, è di fondamentale importanza l’aspetto preventivo, mediante il controllo glicemico, la terapia farmacologica, l’igiene dei piedi, e l’utilizzo di calzature idonee (comode, senza tacchi, e possibilmente con plantari su misura).
Pertanto, il modo migliore di procedere è prevenire la comparsa di lesioni, tenendo sotto controllo la glicemia. Un paziente con un piede ben controllato ha meno probabilità di sviluppare complicanze.
 
Il piede diabetico in sintesi
Esso dipende da due momenti etiopatogenetici:
· neuropatia diabetica, ossia la sofferenza dei nervi periferici poiché l’alterazione del metabolismo glucidico è responsabile di tale evento. Si parla, in questo caso, di PIEDE NEUROPATICO
· arteriopatia cronica ostruttiva (AOCP), cioè le lesioni e le stenosi delle arterie periferiche, responsabili di scarsa irrorazione ematica e, pertanto, di sofferenza ischemica dell’arto e del piede in particolare.
Si parla, in questo caso, di PIEDE ISCHEMICO.
Il diabete mellito può danneggiare i nervi degli arti inferiori e dei piedi. Tale condizione può creare una riduzione della sensibilità (neuropatia diabetica) che impedisce di evidenziare iniziali lesioni a carico dei piedi.
Ciò comporta che le lesioni possono peggiorare e infettarsi senza che il paziente se ne renda conto.
Se ciò avviene si può giungere alla amputazione di un dito, di parte del piede o addirittura dell'arto inferiore.
 
Trattamento convenzionale per il piede diabetico infetto
Approccio locale convenzionale per il trattamento delle lesioni nel piede diabetico
http://www.riparazionetessutale.it/terapia/introduzione.html

Come trattare il piede diabetico infetto con il "Metodo Ruffini"
La cura dell’ulcera plantare
Il primo problema, dunque, da affrontare in questo caso è la prevenzione delle lesioni trofiche del piede diabetico, correggendo subito la postura alterata del piede per combattere l’ipercarico e le conseguenti ulcere plantari, che sono sempre dovute a ragioni di neuropatia. Ma, poiché, le ulcere si formano in ogni caso, il problema è curare l’ulcera il prima possibile ed adeguatamente. Il rischio per i pazienti con piede diabetico infetto acuto non è solo quello di un'amputazione maggiore (gamba o coscia) ma anche di morte per shock settico o altre complicanze infettive. La rapidità d'intervento è dunque la condizione necessaria per cercare di salvare sia il piede che il paziente.
Intervenire rapidamente significa rimuovere quanto di infetto è presente: il trattamento chirurgico consente di drenare il pus e permette di valutare quanto profonda ed estesa è l'infezione e i tessuti coinvolti (tendini, muscoli, ossa).
È possibile trattare le ulcere già formatisi con il Metodo Ruffini, il rivoluzionario metodo dermatologico a base di ipoclorito di sodio (“candeggina”) tra il 6% e il 12% ideato del dottor Gilberto Ruffini, medico ematologo di Varese, con cui è possibile curare con semplicità e con costi irrisori molte patologie della pelle, dalle più semplici alle più gravi, incluso "l'incurabile" piede diabetico infetto non ischemico (causa di molte amputazioni) e le terribili infezioni MRSA (le infezioni ospedaliere) resistenti agli antibiotici.
Per esempio, applicando l'Ipoclorito di sodio opportunamente diluito in chirurgia (pre e post intervento, durante e pre-medicazione, al 9 – 12 % secondo la zona da trattare), si potrebbero evitare molte MRSA (infezioni da stafilococco aureo resistente alla meticillina) e salvare tante vite. L’azzeramento dello Stafilococco Aureus, così ottenuto permette una guarigione migliore e più veloce delle ferite MRSA ospedaliere e ambulatoriali e senza rischi d'infezione. Lo scopo del dottor Ruffini da molti anni è quello di divulgare tale trattamento sia in ambito accademico che a beneficio di tutte le persone.
Come dicevo, nel caso del piede diabetico infetto, la tempestività è l’arma migliore.
Al primo dubbio di ulcerazione anche minima – o anche se questa è già formata – al fine di impedire la progressione dell’infezione, bagnare, senza timore, la ferita con ipoclorito al 6%-9% senza sfregare per non creare abrasioni e lasciare agire il prodotto per circa 40 secondi e poi risciacquare. Il dolore passerà e la ferita rimarginerà più in fretta.
Ripetere il trattamento a giorni alterni per 3-4 volte o comunque a giudizio del medico curante
Essendo il piede diabetico una patologia cronica, come prevenzione sarebbe opportuno fare ogni tre/sei mesi un pediluvio al 6% sempre con ipoclorito diluito in acqua in una bacinella.
Ce lo spiega il dr Ruffini in questo breve video: http://youtu.be/6f_sVd0hbrI
 
I presupposti scientifici del Metodo Ruffini
L’ipoclorito di sodio, si trova in soluzione acquosa dissociato in idrossido di sodio ed acido ipocloroso, ed è rappresentato dalla seguente reazione chimica: NaOCl +H2O_NaOH+HOCl.
Quando l’ipoclorito di sodio viene in contatto con del materiale organico si sviluppano ulteriori reazioni chimiche: saponificazione; creazione di sale ed acqua (reazione di neutralizzazione), creazione di acqua e composti del cloro secondaria alla reazione con acido ipocloroso.
Queste reazioni si realizzano simultaneamente ed in maniera sinergica. Moorer e Wessenlink a tal proposito, hanno stimato l'entità di interazione NaOCl – materia organica proprio misurando la percentuale di ioni Cloro HOCl e OCl – disponibili nella soluzione. Ed è stato notato che, in presenza di un'elevata concentrazione iniziale, c’è una minore riduzione del pH della soluzione finale dovuta alla maggiore percentuale di ioni idrossilici in soluzione e quindi una maggiore stabilità della stessa. In questo caso inoltre, si verifica anche una elevata riduzione della tensione superficiale della soluzione finale, probabilmente legata alla elevata quantità di idrossido di sodio che, reagendo con gli acidi grassi produce sapone che abbassa la tensione superficiale. Il consumo di cloro attivo è invece più elevato in presenza di basse concentrazioni di ipoclorito. Ciò indica che sussiste una stretta interazione tra HOCl ed il materiale organico,che dà luogo alla produzione di prodotti del cloro che sono strettamente collegati alle variazioni di tensione superficiale registrati.
A riprova di ciò Spanò e coll. (2001) hanno realizzato due interessanti test in aggiunta alla riduzione della percentuale.
 
Una conferma sull’efficacia terapeutica dell’ipoclorito di sodio
Bleach Activates a Redox-Regulated Chaperone by Oxidative Protein Unfolding
(La candeggina attiva una chaperonina Redox-regolata tramite spiegamento ossidativo della proteina Hsp33)
Cell Volume 135, Issue 4, 14 November 2008, Pages 691–701
http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0092867408011811

Bibliografia
Qui trovate la bibliografia completa di tutte le pubblicazioni che nella storia della medicina sono state fatte circa l’uso dell’Ipoclorito di Sodio a scopo terapeutico per la cura della pelle.
Vi sono inoltre ben 2884 bibliografie internazionali aggiornate a oggi in possesso del dottor Ruffini.

Chi è Gilberto Ruffini
Medico chirurgo ed Ematologo. N.P. Ordine dei Medici di Varese n°02161.
Nato a Varese il 09/01/1947 e residente in Varese. Laurea in Medicina a Milano presso l’Università Statale di Milano. Specialità in Ematologia clinica e di laboratorio (prof. E. Storti ) presso l’Università di Pavia con massimo dei voti.
Già Interno Chirurgo e di Pronto Soccorso presso l’Ospedale di Tradate (VA). Già Insegnante di Anatomia cranio-facciale, miologia buccale e morfologia dentale presso l’Ateneo Cattolico in Varese.
Relatore sull’Anemia mediterranea in Master universitario presso l’Ospedale Sacco in Milano.
Libero Ricercatore per la ricerca terapeutica e risoluzione di malattie infettive, specializzato nella cura di diverse patologie con l' Ipoclorito di Sodio.
Il dottor Gilberto Ruffini presenta il suo metodo dermatologico: http://youtu.be/ADWdFLgYAKU
Il suo indirizzo email per chi volesse contattarlo direttamente è: metodo.ruffini@yahoo.it
Il dott. Gilberto Ruffini spiega come trattare il piede diabetico con il suo Metodo: http://youtu.be/YbUyBSiNvqg
Pagina ufficiale Metodo Ruffini: http://www.metodoruffini.it/
Per chi volesse maggiori informazioni, può rivolgersi a Paolo Ruffini (figlio del dottore, divulgatore web del Metodo): paolo.ruffini73@gmail.com
A breve uscirà un “Manuale pratico sul Metodo Ruffini”: sarà un breviario in italiano, davvero utile per le veloci e pratiche necessità di pronto soccorso dermatologico.



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si fa da una vita

postato da letizia felician il 29/04/2017

dire che usare l'ipoclorito di sodio per il trattamento delle ulcere è un metodo rivoluzionario è aver scoperto l'acqua calda. Da che ne so io si usa da sempre. E' la nuova scuola infermieristica che non lo prende più in considerazione e resta da capire perchè.

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